Nei “libri di marmo” nel Carso tante storie di eroi e di normali

DOBERDò
Jarc, Ferfolja, Vizintin, Gergolet, Cernic, Ferletic, Lavrencic, Lakovic, Devetak e così via. Sono i cognomi di etnia slava più ricorrenti delle famiglie sulle tombe dei tre cimiteri a Doberdò del Lago. Pochi i nomi italiani e tra essi Asquini, Comarin, Vescovi o un Valentinuzzi di Monfalcone (morto di amianto) che hanno trovato casa sulla collina o hanno preso in sposa una ragazza del paese.
Non ci sono tra i defunti personaggi di spicco, ma famiglie comuni, ognuna delle quali ha contribuito a costruire dal dopoguerra a oggi un pezzo di storia di una bella comunità molto unita. La ricerca di notizie che si è rivelata più complicata del previsto, è stata possibile realizzarla grazie anche alla collaborazione dell’ex assessore ai Lavori pubblici Nordio Gergolet che ci ha guidati durante questa esplorazione, del filosofo Carlo Cernic, dell’ex sindaco Mario Lavrencic e di quello attuale Fabio Vizintin.
Doberdò registra una popolazione di 1.385 residenti al 1° gennaio 2018, paese che si estende su un vasto territorio carsico di circa 29 kmq e comprende 10 frazioni: Jamiano, Marcottini, Palchisce, Micoli, Visintini, Bonetti, Devetachi, Ferletti, Sablici e Berne. Per diminuire le distanze, le sepolture avvengono in tre cimiteri: a Doberdò costruito negli anni Ottanta, che ha una superficie di circa 1.000 metri quadrati e ospita i resti di circa 600 salme. Ha sostituito quello precedente, che aveva una superficie ridotta di qualche centinaio di metri quadrati, oggi diventato parco della rimembranza con alcuni cipressi con il primo monumento-ricordo in memoria tutti i soldati sloveni a Doberdò Caduti sul fronte dell’Isonzo1915-1917, che operavano nell’esercito austro-ungarico, ma anche in quello del Regno d’Italia. È stato inaugurato a novembre 2016 e per la prima volta nella storia del paese ha visto la presenza di due Capi di Stato, il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella e il Presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor. Sia il monumento e corone di fiori purtroppo devastati da vandali qualche mese dopo. La seconda struttura cimiteriale, anch’essa di dimensione ridotte di circa 500 metri quadrati, si trova nella frazione di Palchisce. Venne costruito nel 1961 e anche qui riposano defunti di etnia slovena che abitavano nelle frazioni di Devetachi, Marcottini, Bonetti e tutto il Vallone. Ogni tanto qualche nome italiano sulle tombe come Donda che faceva l’autotrasportatore o Bastiani che si era trasferito da Monfalcone per aver acquistato un appezzamento di terreno. Il terzo cimitero è quello di Jamiano situato su una collinetta attorniata da piante di “sommaco” multicolore (in questo periodo è molto diffuso) a qualche chilometro dal confine sloveno di Brestovizza, frazione del comune di Comeno. È il regno del silenzio.
A pochi metri dal cimitero, sulla parete frontale una casa colonica è rimasto un segno indelebile della Seconda guerra mondiale con la scritta a caratteri cubitali in rosso carminio “Hocemo Jugoslavijo” (vogliamo la Jugoslavia). Accanto al cimitero (è suddiviso in tre zone) di circa 1.500 mq con circa 800 defunti, ci sono i resti di una chiesa dell’inizio del secolo scorso con un altare e mura perimetrali. È recintato da un muro in pietra carsica finemente lavorato. All’interno si trova una chiesetta e una lapide dedicata ai Caduti della Prima e della Seconda guerra dell’esercito austro-ungarico e dei partigiani, che vengono ricordati il 25 aprile e il 1° novembre. I cognomi più diffusi dei defunti sono Pahor e Leghissa. —
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