Nel 1948 l’Italiarifiutò la collezionedi Peggy Guggenheim

VENEZIA. «Una donna di grandi intuizioni, molto pratica, che realizzava sempre le cose che riteneva importanti»: così Philip Rylands, direttore della Peggy Guggenheim Collection, definisce la personalità dell’ereditiera americana che ha segnato tra Venezia e NewYork la storia dell’arte XX secolo. Il suo celebre museo, nato a Venezia nel 1951 con l’apertura al pubblico della sua straordinaria collezione d’arte a Palazzo Venier dei Leoni, venne donato alla Fondazione dello zio Solomon R.Guggenheim in cambio della promessa di farlo rimanere a Venezia. Un’impresa unica per l’epoca - spiega Rylands - fortemente voluta da una donna determinata e capace di grandi visioni.
Che carattere aveva Peggy?
«Non si è mai data arie - risponde Rynalds -, era quasi sorpresa dal valore della sua collezione ma fiera dell’impatto che ha avuto sull’arte del XX secolo. Non le piacevano i luoghi comuni, parlava sempre in modo schietto. Aveva un occhio attento sulla realtà, quello che lei stessa definiva “unconscious wit” un’arguzia innata legata anche alle frequentazioni con intellettuali ed artisti. Un carattere che le ha permesso di fare scelte forti e innovative, come quella di lanciare Jackson Pollock, un artista per l’epoca davvero all’avanguardia».
È vero che Peggy voleva donare al Comune di Venezia la sua collezione, ma ricevette un rifiuto?
«Ho sentito questa storia appena sono arrivato a Venezia e ancora sono in cerca della verità. Nel ‘62 Peggy stava già trattando con la Tate Gallery di Londra per il futuro della sua collezione. Da un documento uscito proprio dagli archivi del Tate è emerso che all’improvviso sorsero grosse difficoltà burocratico-legali nelle esportazioni. Insomma si direbbe che in quel momento lo stato italiano cercasse di ostacolare la fuoriuscita della Collezione Guggenheim, di cui era ormai nota l’importanza, dall’Italia. E pensare che nel ’48, quando espose la sua collezione alla Biennale, Peggy offrì allo Stato italiano di donare i suoi quadri in cambio dell’esenzione dalle tasse di importazione, che per lei furono uno vero shock. Proposta che però non fu accolta. Cosa sia successo a Venezia negli anni ’60 ancora non mi è chiaro. Era noto che Peggy cercava un ente per salvaguardare il futuro delle sue opere. Venne persino dalla California il milionario Norton Simon, un uomo di grande fascino, che le chiese di donare la sua collezione all’Università di Berkeley. Peggy rispose “d’accordo ma a condizione che salvi Venezia”, un modo ironico per dirgli “no grazie”. Comunque già negli anni ’60 sia per le insistenze dei suoi amici pittori che per la nomina a cittadina onoraria di Venezia aveva maturato l’idea di legare definitivamente la sua collezione alla città».
Come è cambiato nel tempo il museo?
«Si è ampliato notevolmente, rendendo la casa di Peggy il fulcro della programmazione museale ed espositiva. Da 60.000 visitatori negli anni ’80 siamo passati a quasi a 400.000 e la collezione si è arricchita di donazioni molto importanti. La nostra missione però da sempre è l’attività didattica».
Il Calendario 2013 cosa prevede?
«Sta per aprire “Postwar. Artisti italiani” con cinque protagonisti del secondo dopoguerra: Fontana, Dorazio, Castellani, Scheggi e Aricò. A Vercelli partirà la mostra “Gli anni Sessanta nelle Collezioni Guggenheim. Oltre l’Informale, verso la Pop Art”. A primavera spazio ai giovani con l’arrivo nel Museo della gigantesca e coloratissima installazione collettiva del Kids Creative Lab realizzata dai bambini delle scuole primarie di tutta Italia. Sarà poi la volta dell’attesa personale dedicata a Robert Motherwell, tra i padri indiscussi dell’Espressionismo astratto americano. Al centro i primi i papiers collés fatti dall’artista proprio su spinta di Peggy quando organizzò nella sua galleria di New York la prima mostra americana di soli collage. Chiuderemo l’anno con i Neo-Impressionisti, Nabis e Simbolisti con la mostra autunnale Le avanguardie parigine fin de siècle».
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