Nel regno del Paròn tra lacrime e risate

Al Magazzino 26 del Porto Vecchio affollata vernice della mostra multimediale su Nereo Rocco
Foto BRUNI TRieste 14.05.12 Mostra Nereo Rocco-Inaugurazione e vernice coi VIP-Tito e Bruno Rocco
Foto BRUNI TRieste 14.05.12 Mostra Nereo Rocco-Inaugurazione e vernice coi VIP-Tito e Bruno Rocco

Dice bene Gigi Garanzini, l’ideatore della mostra: «È un percorso tra lacrime e risate». Al Magazzino 26 del vecchio porto, da oggi e fino alla fine di luglio, si potrà vagare nel mondo del calcio d’un tempo, il calcio della Triestina, del Padova, del Treviso, del Torino, della Fiorentina e del Milan specialmente; il calcio che annoverò Nereo Rocco tra i suoi protagonisti. Gente rispettosa, sapiente, anche cinica; giocatori di talento oltre che splendidi atleti; allenatori capaci oltre che uomini di spirito. Sono passati 100 anni dalla nascita di Rocco e perciò lo si ricorda.

Le pareti che sudano storia del magazzino rimesso a nuovo per la Biennale tengono foto d’epoca, giocatori che sanno ridere per la fortuna di poter guadagnare col pallone, filmati che incantano ancora per la bravura dei protagonisti dello spettacolo calcistico che solo 40 anni addietro si poteva godere. E poi c’è Rocco che si mostra nella sua imponenza, la pancia ben avanti quasi a difenderlo da chissà chi, che pontifica serio sui giocatori: «Giovanotti milionari che non hanno bisogno di farsi insegnare come si tratta il pallone... Mi sembra di aver capito cosa vogliono già due ore prima del loro papà...».

Un giro per i saloni del pianoterra, una bacheca piena di trofei, la prima Coppa dei Campioni vinta a Wembley contro il Benfica di Eusebio e Colunha, la Coppa delle Coppe all’insegna di un gol di Chiarugi, scudetti. Un pallone a valvola dipinto di bianco perché usato per le notturne, scarpe con i tacchetti alte come polacchine e basse qualche anno dopo. Di Rocco, che allora si chiamava Rock, nato sotto il regno di Francesco Giuseppe, finalmente a Trieste viene onorato secondo meriti. Ha avuto soddisfazione quel suo rimpianto: «A Milano sono per tutti il cavalier Rocco mentre a Trieste resto quel mona de becher». Stessa sorte che era toccata a Italo Svevo dopo le uscite in libreria di «Una Vita» e «Senilità».

Prima del taglio del nastro fatidico, i discorsi dei rappresentanti degli enti che hanno collaborato alla riuscita dell’evento – Authority, Regione, Comune, Camera di commercio, Provincia, AcegasAps e il Piccolo mediapartner – e poi l’ideatore Garanzini a ringraziare amici e chi ha davvero messo in scena l’evento, cioè gli architetti bresciani Cecilia Cassina e Ottorino Berselli, bravi davvero a non perdere la bussola negli enormi spazi senza trascurare nemmeno i dettagli. Dettagli come gli antichi scaffaletti degli spogliatoi di Padova, dentro ai quali c’è uno schermo tv che parte non appena si apre la portella. A proposito, era presente il capitano di quel Padova, Gastone Zanon, 88 anni, uno dei manzi che faceva paura alle grandi squadre quando dovevano scendere allo stadio Appiani. Pin, Blason, Scagnellato, Pison, Azzini, Rosa, Hamrin, Nicolè, Brighenti e altri. A quel tempo a chi augurava che vincesse il migliore, Rocco non poteva esimersi dal ribattere: «Speremo de no». Perché i suoi giocatori non potevano competere con la bravura degli Schiaffino, Grillo, Sivori, Boniperti o Charles. E spesso succedeva proprio che a vincere fosse il Padova dei “povereti”. A onorare il ricordo di Rocco, la vedova di Helenio Herrera, la Callas del nostro fòtbal, Fiora Gandolfi. La signora Gandolfi vive dei ricordi straordinari dell’uomo che seppe così bene sfruttare la notorietà combinata alla bravura, tanto da far decollare gli ingaggi dei colleghi allenatori. HH era la Callas, Rocco fu la Tebaldi, l’uno veniva sminuito se mancava l’altro. Celentano intervistava l’allenatore dell’Inter e poi quello del Milan, e inventava amorazzi nati a San Siro, un’occhiata in tralice da una curva all’altra, lui dell’Inter e lei del Milan.

A Milano Rocco si dedicò anche alla moda – la stazza era da peso massimo ma lui correva come un jogger d’oggidì con Fabbri e Suarez - e in premio ebbe alcune confezioni Facis, magari vergognandosi per quello che avrebbe detto a Trieste la signora Maria. A proposito, la signora Maria era la colpa di certe sue scelte impopolari. Doveva lasciare in tribuna questo o quello e lui non sapeva come spiegare agli esclusi il motivo? Ebbene, era colpa della moglie: «Me ha dito mia moglie, la siora Maria, che devo lassarte in tribuna». Chi poteva predersela?

Tra i filmati c’è l’intervista fatta sotto la pergola di via D’Angeli. Gianni Brera, grande giornalista presso dio e gli uomini, interroga Rocco sul calcio, sul Milan, su Rivera che Brera avrebbe voluto ridimensionare. Un susseguirsi di racconti, massime, battute, situazioni appena accennate ma vivide come le si può vivere nel teatro di Goldoni. Chi ha tempo non si perda il dialogo tra Brera e Rocco, degno per il calcio come per la filosofia era tra Socrate e Fedone. E con queste righe abbiamo fatto notare l’età onusta di ricordi di quanti amano il calcio e i protagonisti di un pallone che non era poi così lento come lo si vuol far credere oggi. Certo, quei protagonisti tecnicamente erano eccelsi, capaci di far cantare una sfera che allora era non più difficile da controllare. Perciò si raccomanda ai nonni di portare i nipoti alla mostra della Leggenda del Paròn, un direttore d’orchestra che non voleva essere chiamato Mister come ora si usa. «Mister a chi, muso de mona? Mi son el signor Rocco!». Ieri alla mostra sul Paròn è arrivato anche Fabio Capello.

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