Nessun risarcimento a Daniel Oren licenziato dal Verdi: voleva 3 milioni
Dopo due anni e mezzo di udienze, il giudice Riccardo Merluzzi ha dato interamente torto a Daniel Oren. Il direttore aveva accusato il teatro, che gli contestava invece assenze e inadempienza nell’allestire il cartellone, di averlo maltrattato e trascurato

Daniel Oren
TRIESTE.
Daniel Oren perde interamente la causa contro la Fondazione teatro Verdi. Aveva chiesto oltre 3 milioni di euro per risarcimento, «danno d’immagine» e «danno biologico» dopo che il suo contratto come direttore musicale era stato rescisso per inadempienza nel febbraio 2007 dal soprintendente Giorgio Zanfagnin, che solo due mesi prima l’aveva richiamato, dopo che già una volta, appena l’anno prima, Oren era stato altrettanto allontanato da Trieste: quella volta dal soprintendente Armando Zimolo, perché invece di essere a Udine a dirigere Turandot la stessa sera Oren era apparso sul podio a Reggio Calabria.
Caso Oren, un pandemonio. Alimentato a viva voce dallo stesso direttore israeliano che a Trieste aveva debuttato già nel 1976, subito beniamino di tutti, e per questo portato poi in palma di mano anche dal sindaco Roberto Dipiazza, presidente del Consiglio di amministrazione del Verdi. Il maestro aveva convocato una rumorosa conferenza stampa il 31 maggio 2007, giusto un giorno dopo aver depositato denuncia in tribunale.
Aveva accusato il teatro, che gli contestava invece assenze, mancate prove, inadempienza nell’allestire il cartellone, non rispetto dei limiti di spesa indicati, di averlo maltrattato e trascurato, un «mobbing» che l’avrebbe ridotto in stato di panico e malessere grave. Altrettanto vibranti accuse Oren aveva esteso a Zanfagnin, accusato d’incapacità nella gestione.
Dopo due anni e mezzo di udienze, il giudice Riccardo Merluzzi ha dato interamente torto a Daniel Oren, difeso dall’avvocato Michele Lai di Firenze, rappresentato a Trieste dal collega Piero Lugnani, e ha accolto anche le controrichieste avanzate dagli avvocati del Verdi, Giovanni Gabrielli e Antonia D’Amico. Si ritorce contro il maestro anche una sua speciale richiesta, definita «megalomane» nella memoria degli avvocati triestini: Oren voleva che la sentenza fosse pubblicata su due quotidiani italiani di rilevanza nazionale, nonché su New York Times, Financial Times, Economist. Più modestamente inquadrando il caso, i legali del Verdi hanno chiesto e ottenuto, in risarcimento del buon nome oltraggiato del soprintendente, che il verdetto sia pubblicato per esteso sul Piccolo.
La vicenda era iniziata alla fine del 2006. Il soprintendente Giorgio Zanfagnin, da poco succeduto a Zimolo, è a Monaco di Baviera per contattare un cantante. Incontra lì Oren, e lo convince a tornare a Trieste, come direttore musicale. Il contratto che impegna Oren al Verdi fino al 3 agosto 2010 viene firmato il 1.o gennaio 2007 e prevede un ingaggio di direzione al compenso simbolico di un euro, ma un rimborso spese forfettario di 45 mila euro all’anno e l’impegno a dirigere almeno tre opere liriche e due concerti per stagione, a cachet: 15.500 euro per ciascuna rappresentazione. Oren avrebbe dovuto presentare «col massimo anticipo» i programmi di attività artistica, con le possibili varianti di cast e titoli, l’indicazione di possibili coproduzioni e tournée, assicurando una spesa del 15% inferiore a quella della stagione precedente.
Il Verdi è al tempo in pesante rosso, Zanfagnin si è impegnato a riequilibrare i conti. Per i successivi due mesi Oren (è stato ribadito in corso di causa) non si fa vedere a Trieste, non propone programmi. A quel punto Zanfagnin spedisce notizia di recesso «per giusta causa». È il 26 febbraio. «Solo dopo, il 5 marzo - ricostruiscono gli avvocati - Oren invia un programma frettolosamente redatto». Che, secondo il Verdi, è al di là del vincolante limite di spesa indicato. Intanto gli avvocati si parlano, anche per salvaguardare le concordate direzioni d’orchestra, mentre Oren deve intanto assolvere a impegni del contratto precedente: dirigere Manon Lescaut a maggio, e a giugno il Don Pasquale.
Oren, dice il Verdi, mancò a numerose prove di Manon, causando malcontento negli orchestrali. Negli stessi giorni in cui va in cartellone il Don Pasquale Oren risulta invece impegnato con l’Arena di Verona. Non può essere a Trieste. In sede di causa, mentre gli viene chiesta una «penale pari al compenso previsto per tutte le recite stabilite», e cioé di 123.900 euro, Oren (che contemporaneamente dirige a Genova, Palermo e Verona) invece incolpa il Verdi stesso della propria assenza a Trieste, affermando di aver contratto «patologia psichica» a causa dell’ambiente ostile e conflittuale creato per lui da Zanfagnin.
Oren chiede un risarcimento per mancato guadagno di 1 milione e 302 mila euro; 1 milione e 500 mila euro per «danno biologico»; 1 milione e 500 mila euro per «danno d’immagine». Aggiunge 17.500 euro a titolo di rimborso di spese a Trieste, e la richiesta di pubblicazione della sentenza in mezzo mondo. Gli avvocati del Verdi contrattaccano: Oren deve, anzi, restituire 7500 euro di spese di soggiorno anticipate e mai sostenute; risarcire 19 mila euro per la sua assenza alle prove, causa di pagamento di ore straordinarie agli orchestrali e quindi di danno; pagare una penale di 123.900 euro per il Don Pasquale disertato.
E chiedono la pubblicazione a sue spese della sentenza in sede locale, per i «gravissimi danni morali e patrimoniali ingiustamente cagionati». Il giudice ha ritenuto legittimo l’atto di rescissione del contratto. Ha definito «infondata» la richiesta di risarcimento per mancato guadagno. E «infondate» le richieste per il danno biologico e di immagine. Oren, invece, non dovrà risarcire la Fondazione per il Don Pasquale e ottiene i 17 mila euro di rimborso spese.
Riproduzione riservata © Il Piccolo
Leggi anche
Video