Nicolò Pacassi, grande architetto ancora oggi troppo poco noto

Su Nicolò Pacassi (1716-1790), la storiografia ufficiale italiana recente consiste in soli quattro importanti scritti di Giuseppina Perusini, del 1978 il primo in “Studi Goriziani” n.48, l’ultimo il catalogo della mostra “Nicolò Pacassi Architetto degli Asburgo”, ai Musei provinciali di Borgo Castello tra aprile e giugno del 1998.
L’architetto goriziano nacque il 5 marzo del 1716 a Wiener Neustadt in Austria, dove il padre, affermato altarista trasferitosi a Vienna per operare al sepolcro imperiale nella chiesa dei Cappuccini, aveva incontrato e sposato colei che sarebbe stata la madre di Nicolò. Della sua giovinezza si conosce quasi nulla e quale sua prima opera gli viene attribuito il palazzo Attems Santa Croce, l’attuale Municipio ultimato nel 1740, al quale dalle nostre parti seguono palazzo Attems Petzenstein (1745), casa Attems Kienburg a Giasbana (1747), villa Attems a Piedimonte (1748), la fontana del Nettuno di piazza Vittoria (1756), villa Bosizio a Vogrsko (1764), la fontana dell’Ercole in piazza Corno (1775) e la statua dell’Ercole in piazza Vittoria 55.
Recentemente, a cura degli storici sloveni Helena Seražin e Igor Sapač, è stata messa in dubbio, anzi senz’altro negata, l’attribuzione a Pacassi dei palazzi Attems goriziani e della fontana del Nettuno, considerando sua opera la fontana dell’Ercole, dato innegabile per il suo emblema baronale scolpito sulla vasca. Scritta in sloveno, la revisione dei due studiosi è di difficile confutazione da parte di chi non conosce la lingua, mentre Alessandro Quinzi che bene la padroneggia nel 2013 ha potuto pubblicare un saggio critico in “Quaderni Giuliani di Storia”, spiegando le considerazioni che hanno condotto i due storici sloveni ad attribuire la paternità di sì importanti opere all’architetto lombardo Saverio Gianni, a lungo attivo a Gorizia nel duplice ruolo allora sovente, di progettista e impresario.
Se però così fosse, se effettivamente non fossero di Pacassi i citati palazzi goriziani, la sua prima realizzazione sarebbe la reggia di Schönebrunn nel 1743, a soli 27 anni e senza esperienze precedenti, con la capacità però di modificare profondamente e con grande padronanza quella che era in quel momento l’opera più importante dell’Impero, quel palazzo che doveva offuscare la reggia di Versailles disegnato da Fischer von Erlach, deceduto nel 1723 ma senz’altro il più illustre tra gli architetti austriaci di quell’epoca. Difficile pensarlo…
Nel Dizionario Biografico Treccani, conclude Massimo De Grassi raccontando come la parabola luminosa di Pacassi cadde presto nell’oblio, anche a causa della «lettura “nazionalistica” di cui è stato oggetto per troppi anni: gli studiosi di lingua tedesca lo hanno talvolta considerato uno dei tanti stranieri che in quel periodo inflazionavano la corte austriaca prevaricando sui professionisti locali; da parte italiana ci si è invece limitati a indagare sull’ascendenza veneta delle sue realizzazioni goriziane, senza metterle in relazione con le opere d’Oltralpe» e come manchi «a tutt’oggi una monografia organica che ricostruisca tutto il suo catalogo», sperabilmente redatta consultando anche gli archivi Attems a Lucinico e Formentini a San Floriano, dove non risulta che i documenti dell’epoca di Pacassi contenuti siano stati visionati dai due storici negazionisti.
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