«Noi giovani condannati al precariato a vita»

«La cosa bella del precariato selvaggio è che quando vedi la luce, entri in un loop per cui sei euforico. Spero questa cosa prosegua almeno quanto è durato il precariato». A conti fatti, dunque, questo sentimento deve durare altri 20 anni, quando cioè Ilaria Micheli ne avrà 60. Appena tra tre anni esatti, quando cioè ne compirà 43, Ilaria inizierà ad avere uno stipendio fisso e un contratto a tempo indeterminato all’Università. Sembra un mondo all'incontrario. Nei mitici anni ’70 avrebbe già potuto essere a casa con una baby pensione e invece lei, come migliaia di ricercatori nati nell'epoca sbagliata, deve appena iniziare a lavorare “seriamente”. Quando ha saputo che il sogno dell’assunzione si sarebbe finalmente realizzato, «per la prima volta da quando siamo sposati - racconta - mio marito ed io siamo andati due settimane in viaggio. Viaggio che ho pagato io con gli ultimi risparmi».
Di Bergamo, ma trasferitasi a Trieste per studiare, ha seguito la sua passione. È una “portatrice sana di una disciplina in via d’estinzione”: documenta lingue e culture che sono solo trasmesse oralmente in Africa nera. Ha viaggiato molto in questo continente, a volte a spese sue attraverso lavori saltuari di traduttrice, cameriera, baby-sitter e hostess. Nel suo lungo e faticoso cammino è andata avanti, assieme ai suoi compagni. Qualcuno purtroppo l'ha perso per strada. «Bisogna continuare a sperare, ma finchè la passione non diventa un’ossessione - afferma -, ho visto dei miei amici che l’hanno trasformata in psicosi».
Dopo il dottorato nel 2005, per sei anni ha fatto la lettrice d'italiano, ma niente era sicuro, tutto era un'oscillazione. Poi un assegno di ricerca a Venezia, seguito da un contratto come ricercatore a tempo determinato, quello di tipo A, con l'Università di Trieste, durato tre anni e finito a giugno 2016. Nel frattempo ha ottenuto l’abilitazione nazionale, anche grazie al ruolo di coordinatrice in un progetto finanziato dal ministero per un milione di euro. Abilitazione che, a metà dello scorso novembre le ha permesso, dopo aver passato il concorso per diventare ricercatrice di tipo b, di acchiappare in automatico il posto da associato. «Sono stata fortunata - ammette - perché ho avuto una famiglia e un marito accanto che mi hanno sempre sostenuta, anche economicamente». Rimane forse il rimpianto di un bambino, perché il precariato mette davanti a questo bivio: inseguire i propri sogni o mettere su famiglia? «Non ho avuto nemmeno il coraggio di pensare di crearne una - conclude -, a causa dell'incertezza, anche monetaria». (b.m.)
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