NON DIMENTICHIAMO CALCIOPOLI

Oggi prende il via la nuova stagione del campionato di calcio. A due anni di distanza, nessuno parla più degli scandali scoperti durante l’inchiesta di Calciopoli. Ma quell’intreccio di fattori che ha generato la corruzione nel calcio italiano è ancora presente e non sono stati attivati quegli anticorpi che potrebbero ridurre il rischio di nuovi episodi di illecito. Di più, molti dei protagonisti continuano ad avere un ruolo importante nel calcio italiano. Insomma è davvero troppo presto per dimenticarsi di Calciopoli. Sono quattro i principali fattori che hanno portato a Calciopoli. Alcuni di questi li troviamo anche in altri paesi.


Ma la loro combinazione è peculiare al calcio italiano: 1. il forte intreccio fra potere mediatico e potere economico-sportivo; 2. l’oligopolio dei procuratori sportivi; 3. lo strapotere dei manager non allenatori; 4. la mancanza di trasparenza nelle carriere arbitrali. Vediamoli uno per uno cercando di mettere in luce cosa (non) è cambiato rispetto a due anni fa. Un’informazione libera è fondamentale per evitare una nuova Calciopoli. Le denunce di illeciti, pur evidenti agli addetti ai lavori e ripetuti nel calcio italiano, non sono quasi mai provenute dal mondo del giornalismo sportivo. E come ampiamente emerso dalle intercettazioni telefoniche di Calciopoli, le squadre più forti hanno potuto condizionare a proprio vantaggio il giudizio dei media su presunti o effettivi errori arbitrali.


Questo stato di cose non è cambiato. Diversi presidenti delle squadre di calcio continuano ad avere partecipazioni rilevanti in quotidiani nazionali o locali. Mentre le redazioni sportive di giornali e Tv continuano ad avere giornalisti specializzati per squadra anziché per attività sportiva, il che li espone maggiormente alle pressioni del club. Il problema è ulteriormente aggravato dalla crescente concentrazione di potere economico. Come già evidenziato in diverse occasioni dall’Antitrust italiano, la compravendita dei diritti televisivi per la trasmissione delle partite di calcio della serie A è sempre più sbilanciata a favore delle grandi squadre di calcio. Il braccio di ferro sulla asta per i diritti televisivi in chiaro e l’iniziale mancato coinvolgimento delle squadre di serie B nell’accordo sulla stagione 2008-9 dimostrano come il divario economico fra grandi e piccoli club stia ulteriormente aumentando. In Italia non sembrano esserci agenti con una forte etica sportiva come Tom Cruise nel film Jerry Maguire, mentre i protagonisti delle maggiori agenzie dell’era Calciopoli sono ancora tutti ai loro posti.


È solo cambiato il nome delle loro società, ma il mercato in cui operano è lo stesso denunciato dall’Antitrust due anni fa: non c’è concorrenza nel collocamento degli atleti, perché non c’è stata la liberalizzazione dell’albo dei procuratori, non c’è una regolamentazione stringente dei conflitti d’interesse e sono presenti molti rapporti di esclusiva contrattuale fra agenti e calciatori. In assenza di una regolamentazione del ruolo degli agenti sportivi, il rischio è che si ripetano gli episodi di corruzione, riciclaggio di denaro e sfruttamento dei giocatori minorenni denunciati recentemente dal Libro Bianco sullo sport della Commissione Europea. A differenza di quanto accade ad esempio in molte squadre nel Regno Unito, in Italia è difficile che l’allenatore di un grande club gestisca il mercato dei calciatori.


Questo ruolo è affidato a un manager che, oltre a gestire la complessità finanziaria e legislativa della compravendita dei giocatori, accentra su di sé anche altre funzioni, tra cui quella fondamentale, documentata dalle intercettazioni telefoniche di Calciopoli, di tenere i rapporti con i media. I manager oggi in Italia hanno un ruolo molto delicato e questo dà loro un forte potere contrattuale nei confronti della proprietà delle squadre. Una normativa e amministrazione fiscale compiacente nei confronti delle squadre di calcio (si pensi al cosiddetto “Decreto salvacalcio” che ha permesso alle società di dedurre fiscalmente la svalutazione del cartellino dei giocatori) assegna di fatto al manager il compito di sfruttare al massimo, fino al limite dell’illecito, le scappatoie concesse dalla legge. Una struttura proprietaria fortemente concentrata, molto spesso caratterizzata da un azionariato familiare o comunque molto ristretto, mette poi il manager che svolge questo lavoro sporco nella condizione di sfruttare il potere contrattuale che ne deriva.


Una proprietà più diffusa imporrebbe maggiore trasparenza nei rapporti fra le due parti. Anche a questo riguardo nulla è cambiato rispetto a due anni fa. Gli arbitri italiani costituiscono l’anello debole nel sistema di ricatti incrociati che ha dato vita a Calciopoli. Percepiscono un reddito molto più basso rispetto agli altri attori del mondo del calcio e la loro carriera è dettata da scelte ampiamente discrezionali dei designatori e dall’atteggiamento dei media. Manca inoltre una valutazione pubblica, trasparente, della performance dei singoli direttori di gara da parte dell’Associazione italiana arbitri. In questo contesto, il giudizio espresso da pochi giornalisti, a commento della moviola, può avere un notevole impatto sulla carriera dei direttori di gara, precludendo loro l’accesso a competizioni internazionali, la strada maestra per incrementare i loro redditi.


Come documentiamo in un nostro recente studio, Calciopoli è consistita soprattutto in un ricatto, esercitato nei confronti di arbitri in una fase delicata della loro carriera, piuttosto che in episodi di corruzione vera e propria. Costava relativamente poco modificare a proprio vantaggio l’esito delle partite più importanti. Anche in questo caso non ci sono cambiamenti di rilievo da segnalare. Dunque, i fattori che hanno portato allo scandalo di due anni fa sono ancora operativi e data la pluralità dei problemi, non esiste una singola misura che possa scongiurare il rischio di una nuova Calciopoli.


Piuttosto, bisogna intervenire su più livelli. Tra le riforme possibili, l’introduzione di meccanismi perequativi più forti nella distribuzione dei diritti televisivi, l’imposizione di maggiore trasparenza nei bilanci delle squadre di calcio e l’abolizione dei privilegi fiscali di cui hanno goduto, la liberalizzazione degli albi degli agenti sportivi nell’ambito di un mercato regolamentato, la ricerca di forme di valutazione trasparenti dell’operato degli arbitri, l’introduzione di nuovi strumenti tecnologici (soprattutto per verificare i fuorigioco), l’incremento delle retribuzioni dei giudici di gara, l’introduzione di clausole contrattuali che limitino lo strapotere dei manager. Si può e si deve discutere di queste, come di altre, misure. Il fatto molto, molto preoccupante è proprio che nessuno lo faccia.

Tito Boeri e Battista Severgnini
Lavoce.info

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