Omicidio di Lussinpiccolo, l’accusa del figlio: «La polizia non ha voluto difenderci»

LUSSINPICCOLO. L’accusa è di quelle dure, pesanti, che lasciano il segno: «Mio padre Gjergj sarebbe ancora vivo se la polizia avesse fatto il suo dovere. Il capo del commissariato di Lussinpiccolo, Moris Saganic, non ha mai voluto riceverci né prestare ascolto alle richieste della mia famiglia di ricevere protezione dalle forze dell’ordine. Gjergj veniva minacciato di morte dal fratello, mio zio, e infine è stato ucciso proprio da Simon Curi. Sapete perché dal commissariato non è arrivato alcun aiuto? In esso lavora quale agente della Criminalpol il genero dell’omicida, che non ha mai intrapreso nulla di concreto per scongiurare l’assassinio. Eppure sapeva che il suocero fosse armato. Povero papà, vittima di suo fratello e di un sistema che non funziona».

A lanciare queste accuse è stato Fabijan Curi, figlio del ristoratore ucciso mercoledì sera a colpi di pistola in pieno centro a Lussinpiccolo: lo ha fatto rivolgendosi con queste parole ai media, accusando non solo lo zio omicida ma anche e soprattutto la polizia lussignana e uno dei suoi agenti. Secondo Curi, dopo che il padre era stato colpito mortalmente al collo i figli di Simon - i suoi cugini dunque - avrebbero cercato di ucciderlo con un’altra pistola, che invece si sarebbe bloccata. «Per fortuna ha fatto cilecca – ha aggiunto Fabijan – perché i miei cugini volevano eliminare il sottoscritto e mio fratello Nikola proprio mentre stavamo soccorrendo nostro padre, caduto a terra e morente».
L’omicida, 68 anni, è stato intanto trasferito in carcere a Fiume e interrogato in sede di Procura statale. È stata ascoltata dagli inquirenti anche una coppia di turisti stranieri che – ancora scioccati da quanto visto in via Priko a Lussinpiccolo – hanno raccontato agli inquirenti ciò che hanno visto quella sera. Il giudice inquirente del Tribunale regionale di Fiume, Vlado Bosner, ha disposto un mese di custodia cautelare nei confronti di Simon Curi in quanto sussiste il pericolo di inquinamento di prove e reiterazione di reato.
Il rischio maggiore riguarda proprio la reiterazione: i due rami della famiglia kosovara Curi sono da anni in pessimi rapporti e si teme appunto la vendetta di sangue, nel rispetto di un comportamento presente da secoli nella cultura albanese e dunque di riflesso in quella kosovara. Non per niente fin da giovedì scorso poliziotti lussignani sono impegnati a turno nel controllare a vista l’abitazione e il ristorante di Simon Curi.
Stando a quanto scrivono alcuni mezzi d’informazione croati, nel primo interrogatorio sostenuto a Fiume l’uomo accusato del fratricidio avrebbe pronunciato frasi senza senso, citando il fratello ucciso e il posto vuoto lasciato in una chiesa cattolica. Si è venuto inoltre a sapere che l’arma con cui Simon ha fatto fuoco contro il fratello non era registrata. L’assassino non possedeva insomma il porto d’armi. Una brutta storia dunque, una faida culminata intorno alle 23 di mercoledì scorso in una sparatoria avvenuta davanti a turisti e passanti.
Gjergj e Simon Curi, proprietari dei ristoranti sulla riva Koralj e Galeb, litigavano da tempo a causa dei due locali, situati uno accanto all’altro. Questione di invidie legate al numero di clienti e alla concorrenza che si facevano i fratelli. Un rapporto sfociato nella tragedia che solo per puro caso non ha provocato altre vittime tra i turisti e gli isolani presenti in quegli attimi in via Priko.
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