Ospizio Marino di Grado, caccia ai verbali nelle case degli ex dirigenti
Gli inquirenti sono alla stretta finale. Intanto, in attesa degli sviluppi giudiziari, emerge un nuovo filone di misteri sulla vicenda dell’Hotel Rialto: sono spariti i contributi regionali per abbattere le barriere architettoniche

GORIZIA
Auto civetta delle forze dell’ordine sono state individuate a più riprese nei giorni scorsi in Città giardino a Grado. Forse siamo alla stretta finale dell’indagine avviata dalla Procura della Repubblica di Gorizia sul crac della Fondazione Ospizio marino. Crac che ha travolto clinica Sant’Eufemia e Hotel Rialto. Tre strutture legate dagli stessi intrallazzatori, abili - si fa per dire - ad agire sotto traccia per i loro affari che nulla hanno a che vedere con la cura degli invalidi civili e la salvaguardia dei posti di lavoro.
CONTROLLI.
La Procura sul caso ha impegnati a tempo pieno due magistrati. Ma le matasse da sbrogliare sono molteplici. Per questo nella funzione di polizia giudiziaria accanto ai carabinieri sono stati coinvolti anche gli agenti della Guardia di finanza. Nei giorni scorsi gli inquirenti avrebbero visitato una delle abitazioni in disponibilità dell’ex sindaco ed ex cda della Fondazione Ospizio, Roberto Marin. Nel mirino i verbali delle ultime riunioni del cda in cui si sarebbe tentato un disperato salvataggio della situazione.
L’impressione è che la Procura si stia avvicindando a un punto nodale dell’inchiesta. Sono in molti a tremare a Grado, ma non solo. Pure a Gorizia ci sono persone con le antenne dritte che aspettano da un momento all’altro la convocazione degli inquirenti.
IL CASO RIALTO.
In attesa degli sviluppi giudiziari emerge un nuovo filone di misteri sulla vicenda dell’Hotel Rialto. Forse qualcuno in Regione avrebbe dovuto insospettirsi quando, nel 2004, il mezzo milione di euro assegnato all’Ard, l’Associazione regionale disabili creata e gestita in proprio da Rodolfo Medeot (plenipotenziario presidente anche della Fondazione Ospizio) per eliminare le barriere architettoniche dall’albergo dei disabili, il Rialto, è stato invece polverizzato per la realizzazione di saune e salette per massaggi nel Centro estetico annesso all’hotel, ma gestito da una società diversa. Le avvisaglie c’erano già state quattro anni prima quando un altro finanziamento di un miliardo di lire al Rialto, allora in fase di ampliamento, aveva scatenato l’ira della Consulta regionale dei disabili, allora presieduta dall’attuale assessore regionale alla Sanità, Vladimir Kosic.
Il Rialto è stato acquistato dall’Ard di Medeot nel 2000 per poco più di 3 miliardi di lire da una società che faceva capo all’imprenditore Adriano Bernardis. Per ristrutturarlo e ampliarlo era stata allora preventivata una spesa di altri 6,5 miliardi. Cifre grosse. Servivano anche soldi pubblici. Medeot se la cava comunque grazie ai prestiti delle banche. Ma nel 2004 scoppia un primo bubbone: la Regione stanzia mezzo milione di euro a favore dell’Ard per adeguare l’hotel Rialto alle esigenze dei disabili. Vanno eliminate le barriere architettoniche che - fatto strano - ci sono ancora a quattro anni dall’apertura. In realtà a nessuno dei ”padroni” dell’hotel Rialto importa davvero delle barriere per i disabili? Quei soldi finiscono così nel Centro benessere annesso all’hotel, gestito da una società, l’Isola del Benessere srl, andata in liquidazione dal 2008 (liquidatore il giornalista Massimo Vosca), proprietaria l’Eurogest Partecipation con sede a Saint Albans, in Gran Bretagna, in cui figurano tra gli altri Luciana Verzegnassi, compagna di Massimo Vosca, l’ex parlamentare Adino Cisilino, soci di minoranza Amedeo Morra e Alessandro Somma.
Altro che barriere; quei soldi servono ad attrezzare il Centro estetico: massaggi e cure di bellezza per gente che dei disabili se ne frega. Ma scoppia una grana. I lavori al Centro benessere sono affidati a un’impresa locale che però, concluso l’intervento, non vede un soldo. Si apre un contenzioso. L’impresario chiede di essere pagato e fa i suoi passi. Medeot presenta un rapporto alla Regione in cui figura che quei 500mila euro sono stati pagati alla ditta, con otto assegni da 60-70mila euro. L’impresario fa istanza di sequestro sul Rialto e il Tribunale accorda. Qualcuno pesca nel torbido. Nel frattempo la ditta fallisce, lasciando in strada 30 operai. È il principio della fine. Tanto che la Regione blocca appena in tempo un ulteriore finanziamento di 3,2 milioni di euro, in dieci anni, già deliberato, poco prima che il Rialto finisca all’asta.
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