Pappalardo: «Lascio un sistema collaudato I pazienti tornino a fare prevenzione»

l’intervista
«Lascio con un appello ai pazienti a rispettare le indicazioni anti Covid. Dopo aver sconfitto la pandemia bisognerà riprendere una vita normale, rivolgersi al proprio medico e non aspettare di stare male perché in questi ultimi mesi abbiamo visto un grande incremento degli accessi dei casi più gravi».
Aniello Pappalardo è andato in pensione e lascia dopo più di 10 anni la guida della Struttura complessa Cardiochirurgia di Asugi al dottor Enzo Mazzaro. Quella di Trieste è una realtà di eccellenza dove lavorano 7 cardiologi, 7 chirurghi, 5 anestesisti, oltre a tecnici perfusionisti, riabilitatori, infermieri professionali, operatori socio sanitario per un totale di circa 100 operatori dedicati.
Dottore, che reparto lascia?
Un reparto vivo, provato però dalla convivenza con il Covid. Nonostante gli sforzi dei colleghi l’accesso all’ospedale e il filtro della prevenzione si sono rarefatti. I pazienti che si recano in ospedale per gli interventi elettivi sono diminuiti, i casi gravi non sono più diluiti dai casi di routine. Un aumento imprevisto. La prevenzione e gli screening periodici devono tornare ad occupare il loro posto assieme ai corretti stili di vita. I cittadini non dovranno più temere l’ospedale.
La Cardiochirurgia triestina è, secondo i dati Agenas, una delle eccellenze italiane: al primo posto per il tasso di mortalità arrivato allo 0, 43 sui bypass eseguiti, oltre 200 all’anno, a fronte di una media nazionale del 2, 5%. Un risultato ottenuto come?
La chirurgia coronarica triestina dà buoni risultati da sempre. La parte difficile è mantenerli tali. Ci vuole aggiornamento tecnologico costante e controllo continuo della qualità a dispetto di pazienti sempre più complessi. Sono stato a Trieste per 42 anni, tutta la mia carriera ad eccezione di un anno negli Stati Uniti. 30 anni fa siamo stati i primi a introdurre una cartella clinica digitale, un passaggio al quale ho creduto molto perché consente quel controllo continuo della qualità che serve a orientare gli interventi correttivi quando servono. L’analisi continua dei risultati dà un quadro oggettivo dell’efficacia delle cure e permette di affrontare con maggiore serenità eventuali insuccessi.
In dieci anni, da quando è alla guida del reparto, com’è cambiato il “vostro” mondo?
Io ho ereditato una ricetta vincente. Il sistema “Trieste” è contraddistinto da una collaborazione stretta tra chirurghi cardiologi e anestesisti. la metà dell’organico della Cardiochirurgia è costituita da Cardiologi che gestiscono assieme ai Chirurghi il reparto di degenza e la terapia intensiva. Gli anestesisti dedicati supportano il percorso dal momento della indicazione chirurgica fino alla restituzione del paziente al reparto. Tutti assieme abbiamo migliorato le tecniche chirurgiche e implementato i controlli della qualità dell’assistenza; infermieri bravi e motivati hanno sostenuto efficacemente il gruppo.
In tutti questi anni ci sono stati dei casi particolari, che l’hanno colpita?
Il professor Gianfranco Sinagra tempo fa mi disse che la bontà di un posto, la sua efficacia, si misura anche dalla capacità di gestire un caso estremo. Per questo si fa sempre un ragionamento su tutti, anche gli “inoperabili”.
Recentemente mi hanno proposto una donna di 94 anni lucida, con una malattia acuta, mortale e inoperabile. Voleva tornare a casa ma nessuno l’avrebbe potuta dimettere e quando ha capito mi ha chiesto di provare l’operazione pur nella consapevolezza del rischio che avrebbe corso. Abbiamo puntato sulla sua lucidità e determinazione. È uscita sulle sue gambe.
Quali sono i piani futuri?
Adesso devo vuotare l’ufficio dopo aver vissuto per 40 anni in ospedale – sorride – e poi mi piacerebbe entrare nel circuito della cooperazione internazionale nei paesi sottosviluppati. L’obiettivo potrebbe essere quello di dare un contributo in particolare alla formazione dei chirurghi in loco in quanto non sempre hanno la possibilità di viaggiare e fare esperienze. —
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