Parole e musica per i martiri di via Ghega

«La legge che ha dominato e continua a dominare il mondo è la legge della foresta: occhio per occhio, dente per dente. Ci ha dato pure i martiri di via Ghega. Bisogna che essa scompaia dal cuore ottenebrato degli uomini, se si vuole che il fatto non si ripeta e non si moltiplichi. Questo e null’altro chiedono quei martiri».
È affidata alla voce femminile dell’attrice Laura Bussani la lezione più importante dell’oratorio civile di Roberto Spazzali “La sentenza è stata eseguita immediatamente”. Dedicato all’eccidio di via Ghega, una delle più cruente rappresaglie naziste che Trieste abbia vissuto nel corso della Seconda guerra mondiale, lo spettacolo, scritto dallo storico triestino, è stato messo in scena ieri pomeriggio davanti a una numerosissima platea, in una data e in un luogo, il conservatorio Tartini, altamente simbolici. Sono passati infatti settant’anni esatti da quel 23 aprile del 1944, quando proprio palazzo Rittmeyer, ora sede dell’istituto musicale e allora Casa del soldato germanico, fu scelto, dopo un attentato dinamitardo partigiano, per mettere in atto la rappresaglia tedesca che costò la vita a 51 persone, lì impiccate e lasciate penzolare fuori dalle finestre per cinque giorni, come monito per la popolazione triestina.
A ricordare quei tragici eventi sul palco gli attori Alessandro Mizzi, Laura Bussani e Lara Komar, che hanno proposto una lettura scenica del testo di Spazzali, un insieme di testimonianze tra le più varie e di documenti ufficiali che hanno aiutato a ripercorrere gli accadimenti del ’44. A intermezzare le loro voci brani musicali di Mahler, Pérez-Tedesco, Brahms, Chopin, Bach, Pachelbel, Widor, Šostakovic, a creare una sorta di tessitura tra musica e testo.
Sul palco gli attori hanno dato voce a nazisti, partigiani, autorità civili e religiose. E anche agli stessi attentatori: «La bomba l’ho messa io – recita Mizzi, riportando la confessione di Mirdamat Sejdov - assieme a Mehti Husein Zade, e pure quella al cinematografo di Opicina. Facevamo parte di un gruppo di azerbaigiani, prigionieri dei tedeschi e ci hanno offerto di collaborare in cambio della vita. Così con l’uniforme della Wehrmacht sono arrivato a Trieste. Sono stati i tedeschi che mi hanno insegnato a usare bene gli esplosivi».
Ma tra le voci dello spettacolo c’erano anche tanti semplici cittadini, parenti di chi quel giorno fu ucciso, che scoprirono realmente l’accaduto solo quando videro penzolare dalle finestre di palazzo Rittmeyer i cadaveri dei loro cari: erano 46 uomini e 5 donne. Tutti i loro nomi, uno per uno, sono stati ricordati nel corso dello spettacolo.
Giulia Basso
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