Pesca e poi commercio illegale Cinque gradesi finiti nei guai

GRADO
In bassa marea sono stati sorpresi a setacciare i fondali mentre, con le ginocchia ancora in acqua e il rastrello in mano, facevano razzia di peverasse in un tratto di mare oltretutto interdetto alla pesca, dove la raccolta di molluschi bivalvi è proibita a causa dei potenziali rischi di contaminazione da mercurio: punta Sdobba e punta del Benco, davanti alla foce dell’Isonzo. Ma i quattro pescatori gradesi, tre sulla cinquantina e uno sui 35 anni, non sono stati gli unici a finire nella rete della Guardia costiera di Monfalcone, che in un’ormai consolidata e sistematica attività di vigilanza impiega ogni mezzo alla lotta della pesca illegale, pericolosa per l’ecosistema marino e in grado di minare anche il ripopolamento ittico se protratta nel tempo. Un altro professionista dell’Isola, ancora una volta un cinquantenne, è stato infatti sorpreso sulla strada provinciale tra Fossalon e Staranzano, in direzione Monfalcone, a trasportare con la sua utilitaria il pescato della notte in barba alle regole, cioè senza etichettature e neppure in celle frigorifere, sicché il bilancio degli ultimi interventi effettuati dal personale della Capitaneria ha visto, in due distinte operazioni, il sequestro di ben 140 chili di prodotto e sanzioni amministrative per un totale di 7 mila euro.
La prima operazione è scattata venerdì. Via terra (ed evidentemente a colpo sicuro) la Guardia costiera ha intercettato attorno alle 10 il cinquantenne pescatore professionale gradese che a bordo della propria auto recava, per «la successiva commercializzazione illegale», più di 80 chilogrammi di prodotto ittico: mazzancolle, cicale di mare, rombi, moscardini, cappesante, murici e seppie. Ce n’era per tutti i gusti. Dalla perquisizione è emerso che il trasgressore, cui è stata elevata la sanzione di 3.000 euro, trasportava gli alimenti senza i previsti accorgimenti sanitari per prevenire l’alterazione dell’alimento deperibile, vale a dire celle frigo, fattore che può comportare un serio pericolo per la salute del consumatore. Inoltre mancava la documentazione obbligatoria sulla tracciabilità. Stando alla Capitaneria, il pesce era destinato al mercato nero, dunque a esercizi commerciali e ristorazione. Non bastasse, la Guardia costiera ha riscontrato un ingente quantitativo, 20 chili, di molluschi bivalvi notevolmente sotto la taglia minima di cattura consentita, il cui precoce prelievo impedisce il fisiologico ciclo di riproduzione con l’effetto di ridurre, nel tempo, le risorse di pesca disponibili. A scopo esemplificativo: per le cappesante la soglia limite è rappresentata da un “diametro” di 10 centimetri, per le vongole di 2,5, per le telline di 2, per le cozze di 5 e per i cannolicchi di 8 (in estensione). Parametri fissati dalla normativa in materia.
Dopo la valutazione del veterinario dell’Asugi – da anni è in corso la valida collaborazione con il dottor Paolo Demarin – una parte del sequestro è stato distrutto perché non commestibile, cioè 20 chili di seppie rinvenute in contenitori sporchi che non potevano garantire le qualità del prodotto, mentre 40 chilogrammi di pesce sono stati donati alla mensa dei poveri dei frati cappuccini di Gorizia. La rimanente parte, 20 chili di molluschi pescati “acerbi” ma ancora vivi, è stata rigettata in mare.
Venendo invece alle peverasse di punta Sdobba, sequestrate martedì, il controllo è scattato, dopo appostamenti dedicati e controlli con potenti binocoli, a bordo di due imbarcazioni sorprese nella raccolta non autorizzata di vongole. Approfittando del picco di bassa marea, infatti, quattro pescatori gradesi s’erano calati in acqua e con rastrelli artigianali non consentiti (e poi sequestrati) aravano le secche tra punta Sdobba e punta del Benco. Ma l’operazione era monitorata. Così, al rientro all’ormeggio, una volta accertata la presenza a bordo dei molluschi, il quartetto si è visto requisito il prodotto rastrellato – 60 chili di vongole – e comminare due sanzioni per un ammontare complessivo di 4.000 euro. Infatti dalle verifiche le due barche non risultavano autorizzate alla pesca in mare.
Ad aggravare il quadro il fatto che l’operazione sia avvenuta in un tratto di mare non riconosciuto, dall’autorità sanitaria, quale zona di raccolta di bivalvi destinati al consumo umano a causa dei potenziali rischi di contaminazione. Anche qui il prodotto sequestrato, ancora in vita, è tornato in mare. —
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