Pizzul: «Paolo e il Milan, la vicenda lo amareggiava ancora»

«Non gli era mai andato giù il modo in cui la società aveva trattato suo figlio. E nessuno gli rese mai giustizia per i successi con la Nazionale»
Bruno Pizzul
Bruno Pizzul

INVIATO A UDINE. Sul tabellone luminoso dello stadio Friuli appare il ciuffo simpatico di Cesare Maldini, i giocatori di Udinese e Napoli sono schierati attorno al cerchio di metà campo. L’arbitro fischia il minuto di silenzio e piano piano, quasi con timidezza, dagli spalti si alza un applauso che poi sarà ben più lungo del minuto canonico.

E in tribuna stampa, inviato di "Quelli che il calcio", c’è chi è particolarmente commosso: Bruno Pizzul, la “voce della Nazionale”, componente di quel clan di corregionali trasferitisi a Milano inseguendo un pallone - chi come calciatore prima e allenatore poi, chi come giornalista - che ha sempre colto ogni occasione per ritrovarsi e ricordare quella volta che...

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Pizzul, è stato un minuto di grande commozione. «Cesare lascia un vuoto davvero grande. Ed è stato commovente per me vedere come di fronte a lui, in questo stadio, si sia annullata ogni rivalità campanilistica, come questo pubblico friulano abbia tributato a lui triestino un omaggio così sentito. Questo testimonia quanto Cesare abbia dato al mondo del calcio».

Lei era sempre rimasto in contatto con Cesare Maldini. «Sì, ma questa notizia mi è giunta inattesa, anche se non completamente. Avevo parlato qualche tempo fa con il figlio Paolo che mi aveva confidato come il papà si sentisse sempre più stanco».

Cesare Maldini è stato protagonista da calciatore in un Milan ad alto tasso di triestinità. «Sì, in quel Milan si parlava tanto triestino. Anche se Rocco sgridava spesso Cesare: “Te son diventà tropo milanese” gli diceva. Ma non solo: al paròn non andava giù che Cesare ogni tanto si concedesse in campo qualche libertà stilistica, che cercasse la giocata d’effetto. Venivano chiamate “maldinate” e Rocco si incazzava come non mai. E allora lo prendeva in giro, perché poi Cesare, ad esempio, non amava troppo il vino: “Bevi che te se svei”, gli diceva il paròn, “no te pol zogar se no te bevi” lo incalzava».

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Milan e Nazionale, tante pagine importanti scritte da Cesare Maldini, ma anche tante amarezze. «Ancora negli ultimi tempi in cui ci vedevamo, e spesso capitava negli studi di qualche tv privata milanese dove ci invitavano come opinionisti, Cesare mi continuava a manifestare tutta l’amarezza per il modo in cui suo figlio Paolo era stato trattato dal Milan. Proprio non gli era andata giù, aveva sofferto molto. Così come per la Nazionale: aveva vinto tre Europei under e al Mondiale del 98 era uscito imbattuto, piegato solo ai rigori dalla Francia che poi avrebbe vinto il titolo. Eppure nessuno gli rese giustizia per quei suoi successi, come del resto sarebbe poi capitato anche a Zoff o a Donadoni, ad esempio».

Ha citato il figlio Paolo, che fu suo giocatore in azzurro... «E ho assistito a siparietti straordinari: lui che in campo lo chiamava, con quel “Paolino!!!” reso noto poi anche dalle imitazioni, e Paolo che rispondeva “Sì, papà”... Cesare ha dimostrato che uomo era non solo sul campo da gioco, come tipico rappresentante di un calcio dai valori importanti, ma anche in famiglia, una famiglia dai solidi principi, come si è dimostrato negli anni».

Poi, anche l’avventura con il Paraguay che portò ai Mondiali del 2002. Faceva il ct dall’altra parte del mondo! «Se è per quello per lui forse era più lontana Foggia (dove allenò nei primi anni Settanta) che non il Paraguay! Ma certo non si spaventava di fronte ad avventure anche particolari: negli ultimi anni aveva fatto il commentatore per Al Jazeera e mi diceva spesso “Vieni con me a fare le telecronache per gli arabi!”. Mi mancherà, mi mancherà tantissimo».

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