Precari della scuola in 150 rischiano il posto

C'è chi insegna da anni sotto la spada di Damocle di un futuro incerto. Chi tra un anno, di questi tempi, potrebbe trovarsi senza lavoro e chi, invece, potrebbe trovarsi a dover lavorare tante, troppo, per lo stesso (modesto) stipendio.
Sono gli insegnanti precari, e non, dell'Isontino, che rischiano di veder stravolta la loro situazione lavorativa e di conseguenza la loro vita a causa della tanto discussa Legge di stabilità, che prevede il passaggio alle 24 ore settimanali (anziché 18) per i docenti di ruolo delle scuole medie e superiori, a parità di stipendio. Parlando solo dei precari, ce ne sono più di 100, forse 150, in tutta la provincia, e queste per loro sono ore di grande apprensione e fermento.
Ieri siamo andati a respirare quest'atmosfera in una delle scuole della città, il liceo Slataper. Proprio al polo liceale, tra l'altro, oggi si svolgerà un assemblea sindacale che dovrà definire le iniziative dei docenti per protestare contro le mosse del governo. Tra queste, la più probabile sembra la dimissione in blocco degli insegnanti da tutte le attività e gli incarichi non strettamente connessi all'insegnamento, quali coordinamento delle classi o dei progetti, rientri e visite d'istruzione. Cosa che, di fatto, porterebbe a un blocco dell'attività scolastica. «Quella che sta varando il Governo è una legge pensata apposta per colpire i precari – si sfoga Andrea Olivieri, 41 anni, che con un dottorato e tre abilitazioni alle spalle insegna filosofia allo Slataper ma è precario da 12 anni, con una bambina da mantenere e un mutuo da onorare -. Gran parte di noi, anche qui a Gorizia, rischia di restare senza lavoro tra un anno: se gli insegnanti di ruolo si dovranno accollare anche tutti gli spezzoni di cattedra fino a ora assegnati ai precari, la nostra categoria di fatto non esisterà più».
Esattamente quello che aveva raccontato al nostro giornale anche Laura Cettolo, altra precaria. Leia Passoni, invece, è precaria dal 2005. È insegnante di sostegno, e anche lei ora teme per il suo lavoro, pensando anche al futuro delle due figlie. «Vivere e lavorare così, senza mai una prospettiva concreta, è molto dura – dice -. Ma ciò che non accetto è che il messaggio che passa all'opinione pubblica è che un insegnante lavora solo 18 ore. Non è così: quelle sono le ore pagate, passate in aula, ma tutto il resto non viene calcolato». Il “resto” sono le ore passate a preparare le lezioni. A correggere i compiti. A incontrare i genitori o a riunirsi con i colleghi. Insomma, il lavoro in classe è solo una parte, forse un terzo, del lavoro complessivo. Marco Bisiach
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