Prigionieri in una casa che sta cadendo a pezzi
L'appartamento Ater cade letteralmente a pezzi, tra allagamenti, muffa e cedimenti. E una famiglia goriziana da mesi vive una situazione di gravissimo disagio senza sapere se, quando e dove potrà spostarsi. E' una storia drammatica quella che arriva da Lucinico, dove, nella palazzina di via Marega 62, una giovane mamma sta lottando per trovare una sistemazione decorosa ai suoi cari. Si chiama Alessia Prestento, ha 32 anni e vive con il marito 27enne, il figlioletto di appena 4 mesi e il padre, disabile, di 57 anni. Vivono in un locale di nemmeno 44 metri quadri, uno spazio del tutto insufficiente. Il problema, però, non si limita alla metratura, perché l'appartamentino di Lucinico è ridotto ormai da tempo in condizioni inaccettabili, e a gennaio è stato addirittura dichiarato inagibile.
Una serie di rotture delle tubature dell'acqua hanno causato perdite e l'allagamento della cantina, che si trova proprio sotto l'abitazione, le cui pareti si sono presto ricoperte di muffa. «L'Ater non ha mai svolto lavori risolutivi, e così con il tempo la situazione è peggiorata - racconta Alessia -. Tre pareti si stanno sgretolando, e da una di esse si verifica una perdita d'acqua, che negli ultimi mesi ha allagato la cantina. A detta dell'ultima ditta incaricata dei lavori da Ater, la Elektra di Lucinico, le fondamenta di cemento armato sono ormai compromesse dall'acqua, e che per risolvere il problema servirebbe sostanzialmente sventrare l'appartamento. E in tutto questo l'unica indicazione che mi arriva dall'Ater è quella di aprire le finestre, arieggiare». Tra l'altro, per tutto il tempo necessario a realizzare i lavori, da sei mesi a un anno, la famiglia di Alessia dovrebbe spostarsi altrove. Già, ma dove?
«Ci è stato detto che mio marito e mio padre potrebbero trovare posto al dormitorio di Gorizia, che però al momento è occupato dai migranti, mentre io e il bambino dovremmo spostarci in una casa famiglia - racconta la donna -. Ma per quanto tempo? E poi per finire dove?». La famiglia ha anche intentato una causa per chiedere di ottenere un alloggio più adatto alla presenza di un neonato, ma nemmeno questa mossa è servita. «Il giudice ha stabilito sostanzialmente che io vivo solo con mio marito e mio padre, come se la gravidanza non fosse mai andata a termine - racconta Alessia -, e non ho idea del perché. Sta di fatto che in una simile condizione non possiamo vivere». La famiglia di Alessia le ha provate davvero tutte, e si è rivolta in extremis anche al Comune, ha contattato l'assessore Silvana Romano. Ma non ha trovato proprio le risposte che cercava. Se la giovane mamma in questo momento non può lavorare, dovendosi occupare di un neonato, il marito (che fino a non molto tempo fa aveva potuto sfruttare lo strumento dei voucher) e il padre ( nelle liste speciali di inserimento lavorativo) sarebbero ovviamente pronti a rimboccarsi le maniche, se trovassero un'occupazione. «Noi saremmo ben felici di farci un mutuo per la casa o di pagare un affitto - conclude Alessia Prestento -, se potessimo, e non andremmo a farci umiliare in questa maniera da un ufficio all'altro. Invece ci è stato detto che dobbiamo sostanzialmente continuare a vivere in una casa inagibile. E se raccontiamo la nostra storia è perché davvero non sappiamo più dove andare o a chi rivolgerci». m.b.
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