«Punto franco, soltanto un alibi per frenare su Porto vecchio»

Pacorini: Monassi e Paoletti facciano i nomi di imprenditori interessati, in trent’anni mai nessuno Ma no alla sdemanializzazione: le cose pregiate si danno in concessione, non si vendono

«Trasecolo, è un incubo». A Federico Pacorini, uno dei più importanti attori della logistica a Trieste e poi in tutto il mondo (prima di cedere le quote al fratello) sembra un viaggio nel tempo quanto accade o non accade in Porto vecchio: era il 1997 quando creò con gli industriali, avendo nel direttivo la Camera di commercio con Antonio Paoletti, catalizzando banche e perfino Impregilo e molta “intellighenzia”, la società Trieste futura per avviare con apporti privati la riqualificazione dell’antico scalo. Illyano, perdente con Roberto Dipiazza nella corsa a sindaco come successore proprio di Illy, oggi guarda alla vecchia «creatura» con fervido pessimismo.

Che effetto le fa, Federico Pacorini, assistere a posizioni discordanti su Porto vecchio?

Io trasecolo, mi pare di vivere in un incubo, che è della città e non mio, perché poi personalmente uno dice “se deve succedere così, che succeda e pazienza”. Ma parliamo di 15 anni fa. Quando si sarebbe già potuto fare esattamente quello che si è fatto negli ultimi due anni.

Allora però Maurizio Maresca, presidente dell’Autorità portuale, fondò l’associazione Porto vecchio per dare avvio alle concessioni.

Lasciamo stare, Maresca fa parte di quel gruppo di persone che alza continuamente un potenziale immateriale, il quale serve solo a bloccare le cose.

Tra i “frenatori” mette anche Maresca?

Fece quell’associazione dicendo che Porto vecchio non spettava a Trieste futura, ma all’Autorità portuale. Disse “Porto vecchio lo faccio io”, e si è visto quel che ha fatto.

Al confronto dunque oggi va tutto a meraviglia?

No, è tutto sconvolgente. Fatto salvo il vecchio sindaco Dipiazza (con cui persi le elezioni, ma che stimo per la sua concretezza), e il nuovo sindaco Cosolini, per il resto c’è un mini-nucleo politico che fa capo a Giulio Camber, e a chi gli sta intorno, che tira fuori il Punto franco ogni volta che si pensa di far qualcosa. Il Punto franco c’è anche in Porto nuovo, se ci fossero nuove opportunità in questo senso si potrebbero cogliere per il porto commerciale.

Ma nel 2010: piano regolatore e concessione assegnata. Non li tiene in conto?

Sembrava un momento liberatorio. Ma dopo 20 anni ecco di nuovo il discorso su che cosa fare del Punto franco, “atout” impagabile. Non solo per certi più anziani, ma anche per sessantenni che siedono in parlamento da 25 anni, che non dicono (perché non parlano mai), ma fanno dire che c’è un vantaggio che non possiamo perdere. E intanto Trieste si impoverisce. Niente zona per studi, ricerca, nautica, alberghi, turismo, congressi: abbiamo sedi da congressi che fanno ridere. Le dimensioni dell’area e l’importanza del progetto sono tali che tutta la città dovrebbe puntare lì l’intero sviluppo futuro. Sarebbe una piccola nuova Trieste, meravigliosa e utile a mille fini.

Ma a chi conviene rifiutare sviluppo e ricchezza?

Ai piccoli interessi: tenerci la barca, abitarci. E a chi ha la volontà politica di tenere la città in costrizione economica. Non si vogliono presenze nuove. È giusto che i triestini si piangano addosso, e piangano sempre sulle spalle dei soliti politici.

La presidente dell’Authority Marina Monassi dice però “non lascio nulla di intentato, neanche il Punto franco”.

A Monassi, ad altri, al presidente della Camera di commercio Paoletti, a chi brandisce il Punto franco, andrebbe ripetuta una domanda fino ad esplicita risposta: i vantaggi ce li volete spiegare? Ci fate il nome e il cognome di chi vuole quelle cose lì? In 30 anni, mai nessuno.

Lei sa che i concessionari manifestano adesso difficoltà economiche?

La crisi è terribile, però hanno una concessione di 70 anni. Se per 2-3 anni devono rallentare il passo lo capisco, anziché investire 50 milioni all’anno potrebbero dire “inizio con 5”, ma presentando quello che vogliono fare. Non si può però inficiare una concessione di 70 anni. Piuttosto vedo un altro pericolo.

Quale?

Il Punto franco è uno strumento politico che qualcuno si gioca da 20 anni, non vorrei che anche i concessionari lo usassero come alibi per portare le cose in là nel tempo.

Il sindaco Cosolini (e anche l’ex Dipiazza) avvertono: bisogna anche sdemanializzare: terreni al Comune. Che potrebbe però riversare gli utili della valorizzazione sulle infrastrutture del porto.

No, non sono d’accordo. Trieste futura non ha mai pensato di sdemanializzare. Per traffici e altre “fantasie” si sposti altrove il Punto franco, ma il Porto vecchio è la ricchezza di una città, e il valore di una concessione deve restare all’Autorità portuale, che ne usa i proventi per investire nel Porto nuovo. Questo è l’interesse di chi ama i traffici. Una cosa pregiata si concede, non si vende mai.

L’idea è condivisa però anche dai parlamentari che si sono attivati col governo.

Senta, io ho girato tutto il mondo. Dappertutto si fanno concessioni, una concessione già di 50 anni equivale a una proprietà. Il centro di Londra è tutto in concessione, perché la vecchia nobiltà inglese possiede, ma non vende. Si metta insieme un gruppo di professori universitari che vada in giro nelle città portuali del mondo.

I professori direbbero...?

Che perfino a New Orleans, sul fiume Mississippi, la proprietà delle rive (zeppe di alberghi) è dello Stato, la gestione è di un’Authority, le attività sono in concessione, e tutti sono contenti. Eventuali accordi sono sempre possibili, ma dopo: 90% all’Autorità portuale e 10% al Comune, o chissadio che altro. Importante però è che ci sia qualcosa da spartire, e non solo ratti e pantigane.

In definitiva è ottimista sul fatto che difficoltà e ostacoli stavolta saranno superati?

No, io sono pessimista. Perché vedo che dopo 20 anni tornano fuori i vantaggi del Punto franco, come se la città in questo tempo non si fosse impoverita proprio a causa degli stessi che oggi rifanno la proposta.

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