«Punto nascita inadeguato per i parti più a rischio»

È quanto emerso dalla deposizione del ginecologo Domini nel processo per omissione di soccorso a carico di un medico dell’ex Ginecologia goriziana
Di Roberto Covaz

Al Punto nascita di Gorizia, inserito in un ospedale di primo livello, potevano partorire solo gravide senza gravi patologie. Se il neonato avesse presentato a sua volta rilevanti problemi di salute sarebbe stato immediatamente trasferito o all’ospedale di Udine o al Burlo Garofolo di Trieste. In ogni caso il reparto non era attrezzato per il parto di feti di età inferiore alle 34 settimane.

E quel bimbo che si sarebbe dovuto chiamare Jacopo, quella tragica sera del 7 settembre del 2012 era ancora un feto di 33 settimane. Per questo fu corretta la decisione del ginecologo in servizio al Punto nascita, Carmelo Castello.

Questa, in sostanza, la tesi difensiva cesellata dall’avvocato Lippi, che difende Castello imputato di omissione di soccorso. Il processo ha vissuto la sua terza udienza. Davanti al giudice Bonasia sono sfilati i testi dell’accusa: il ginecologo Domini, l’ostetrica Deghenart, il ginecologo Calcagnile all’epoca dei fanti primario facente funzione.

Il processo riguarda la vicenda del bambino mai nato, Jacopo. La mamma si era presentata quella sera di settembre di quattro anni fa al Punto nascita di Gorizia. Accusava forti dolori al ventre, che era contratto. Su consiglio del suo ginecologo, dottor Domini, si era recata all’ospedale. La gravidanza della signora era considerata a rischio, sia per una malformazione della mamma che, soprattutto, per una grave patologia cardiaca del feto. Era seguita da tempo dall’Unità di Ostetricia e Ginecologia del centro gravidanze a rischio di Padova. Castello, secondo l’accusa, invece di procedere al taglio cesareo, consigliò alla donna di recarsi al più presto a Padova. Ma con un proprio mezzo: l’auto del marito e con l’altra figlioletta al seguito. Un trasferimento che, secondo l’autopsia, sarebbe stato fatale a Jacopo.

La scelta di non accompagnare in ambulanza la donna a Padova è la chiave del processo. Ma Domini ha spiegato che pur se allertata da un reparto dello stesso ospedale, l’ambulanza avrebbe potuto essere a disposizione solo dopo ore di attesa. E c’era poi da verificare la reperibilità di un medico che assistesse la signora durante il viaggio. Secondo l’accusa, il pm Valentina Bossi - tesi su cui concorda il legale di parte civile, avvocato Laura Luzzatto Guerrini- Castello, ginecologo di vasta esperienza, sottovalutò o non diagnosticò attentamente le condizione della donna e del feto.

L’udienza ha svelato un altro aspetto inquietante: l’obbligo di seguire i protocolli stabiliti dall’Azienda ospedaliera rischia talvolta di ostacolare una più immediata ed efficace operatività.

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