Quando a Villa Opicina passavano i treni per Mosca

Intersezione strategica delle linee Meridionale e Transalpina, ma l’ultimo convoglio passeggeri transitò a fine 2011: oggi solo discontinuo traffico merci
Di Igor Buric

Stazione di Villa Opicina: da quasi due anni le serrande della biglietteria sono calate, i servizi igienici chiusi, gli schermi che segnano arrivi e partenze spenti. Sopravvivono 11 binari su 43, gli uffici doganali affondano nella polvere, quelli della Polfer sono sbarrati e l’ultimo treno passeggeri (l’EuroNight diretto a Budapest) venne soppresso nel dicembre del 2011. Erano 500 gli addetti negli anni Sessanta, oggi ve ne lavorano circa 20, i soli rimasti a sorvegliare i muri e smaltire il traffico merci superstite nella stazione-fantasma.

Binari e binari nella sterpaglia. Dopo la cancellazione del “Budapest” si vociferò di una chiusura totale ma, dicono, questa venne scongiurata grazie alle pressioni d’oltreconfine. Le Fs non tardarono a replicare, spiegando che la stazione di Villa Opicina è un nodo nevralgico per l'elevato flusso delle merci, ribadendo che si trattava pur sempre dell'unica uscita verso Est dalla provincia di Trieste e che doveva rimanere aperta «anche nell'eventualità che, un domani, una società diversa decida di farvi transitare un altro treno internazionale».

Intanto la linea passeggeri è interrotta dopo più di un secolo di servizio continuato. Era rimasta attiva anche nel corso della Seconda guerra mondiale e negli anni dell’ultimo conflitto jugoslavo, quando l’EuroNight, pur sospeso di tanto in tanto per timore di assalti, viaggiava ancora sulla strada di ferro. Fino a trent’anni fa, in piena Guerra fredda, attraverso Villa Opicina si raggiungeva Belgrado, Atene, Istanbul e persino Mosca. A metà anni Novanta si arrivava ancora a Vienna via Maribor, ma le cifre più deprimenti riguardano il confronto con i primi del Novecento, quando a Opicina – dove si intersecano tuttora la linea Meridionale e la Transalpina – transitavano, chi dalla stazione centrale e chi da Campo Marzio, una ventina di treni al giorno diretti verso la capitale asburgica. Oggi, epoca dell’alta velocità, nessuno.

L’isolamento di Trieste lo si legge nella stazione immensa e defilata di Opicina. Tacciono gli annunci delle partenze, anche per Lubiana. Eppure le richieste passeggeri permangono. Il gestore del bar della stazione racconta che «tempo fa un ferroviere della delegazione slovena ricevette alcuni parenti in visita dagli Stati Uniti e, dopo aver mostrato loro i luoghi dei dintorni, li portò a bordo di un treno turistico sui binari “in sonno” di Trieste. I paesaggi variegati li entusiasmarono al punto che essi assicurarono di non aver visto panorami così mozzafiato nemmeno nel Grand Canyon». Forse quei turisti esagerarono, ma è certo che in Slovenia, Austria e Germania si continua a investire con fortuna sui viaggi della nostalgia e la domanda verso l’Italia è forte, ma resta senza risposta. L’ultimo treno “speciale” arrivato a Opicina era un banale Minuetto, perché il convoglio storico era stato bloccato dalle Ferrovie per motivi burocratici.

Vento e grumi di sterpaglia. La porta dell’Est si è ridotta a servire da smistamento a merci sempre più rare, anche se, negli ultimi mesi, il costo del petrolio ha spinto di nuovo i traffici su rotaia. Malgrado si lavori sette giorni su sette, il flusso merci di Opicina non è continuo e ci sono giornate in cui non si muove una mosca.

Le gloriose officine Laboranti, dove il materiale rotabile subiva l’ultimo maquillage, sono anch’esse una casa degli spiriti sbarrata da un cancello arrugginito. Vennero chiuse anni fa anche per la concorrenza dei Paesi dell’Est. Lì accanto passano i binari di quella che fu la stazione di Opicina Campagna (il nome è stato cancellato e la stazione pure). Anche quel pezzo di strada ferrata «rischia la dismissione, pur essendo stato appena risanato, dopo più di vent’anni di lavoro interrotto diverse volte, con finanziamenti regionali», come ricorda l’ingegner Roberto Carollo del Museo ferroviario di Campo Marzio. Non si sa ancora che fine faranno i “rami secchi” dello scalo e tutto sembra appeso a decisioni prese altrove.

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