Quei carri funebri d’epoca dimenticati nel bunker FOTO

Trieste: stanno marcendo nella galleria che da viale D’Annunzio conduce a San Vito Alcuni erano stati recuperati da Diego de’ Henriquez. Ma lì sotto c’è di tutto

Carri funebri d’epoca malconci, pneumatici, ruote, motori di automobili, vetri rotti e non, porte, finestre, materassi, tapparelle, vanghe, scale dissestate, saracinesche e 16, ben 16 barili dai quali il catrame è libero di colare.

Sembra la descrizione di una discarica - con più di una carta non in regola - ma non lo è ancora in via legale. Si tratta dell’indegno stato in cui versa la prima parte della galleria antiaerea che collega viale D’Annunzio al rione di San Vito. Con la particolarità, a quanto pare dimenticata, che il “buco” è deposito di vecchi carri funebri che una volta venivano trainati da cavalli. Un patrimonio cittadino e nazionale secolare, dal momento che alcuni risalgono ai primi anni del Novecento. Il loro comune e triste denominatore è di essere stati destinati al macero e cancellati dalla memoria triestina. La galleria, scavata dall’Impresa Immobiliare Veneta, ha appunto due accessi distinti. Uno si trova all’inizio di viale D’Annunzio, sotto via del Molino a Vento. L’altro, invece, a San Vito. Nel corso della Seconda guerra mondiale il bunker venne impiegato come rifugio durante i bombardamenti.

Mentre è sotto gli occhi di tutti e ha fatto recentemente notizia che il ricovero antiaereo di Roiano è stato “casa” di alcuni senzatetto, la galleria che inizia laddove viale D’Annunzio incontra largo Sonnino resta chiusa nel silenzio. Un silenzio rotto solo dall’acqua che gocciola dal soffitto e continua a danneggiare da decenni i poveri resti dei carri. Già, perché confrontare le fotografie scattate oggi con quelle della società Adriatica di speleologia del 1988 è impietoso.

Di quella dozzina di carri, fra cui alcuni verniciati di bianco e adibiti al trasporto dei bambini, risultano rimasti tre, conditi da molti rottami. Venticinque anni dopo, quelli sopravvissuti sono ridotti a carcasse e le loro finiture fatte a mano, capolavori d’artigianato del “secolo breve”, stanno morendo nell’umidità di un tunnel che, per la sua bellezza, dà l’impressione di essere una grotta naturale piuttosto che un rifugio costruito dall’uomo. La stessa società Adriatica riporta questa nota: «All’interno di questa galleria abbiamo trovato alcuni carri funebri ippotrainati: probabilmente una delle scoperte più curiose fatte nel corso delle nostre esplorazioni nel sottosuolo triestino».

Quando, nel 1943, il Comune costruì i bunker antiaerei che si snodano nei visceri della città, promise che nel dopoguerra quelle stesse gallerie sarebbero state adibite a uso civile. A oltre cinquant’anni di distanza, gran parte dei triestini non fa neppure caso alla loro esistenza, né conosce la loro collocazione. Alcune “caverne” di guerra sono state inserite nel tessuto viario della città, altre - la maggior parte - sono state chiuse e sono cadute nell’oblio. Succede, infatti, che il Comune ha affittato a privati la parte della galleria di viale D’Annunzio dove sono parcheggiati i vecchi carri. I privati, dal canto loro, l’hanno trasformata di fatto in una discarica nascosta che è diventata cimitero di un pezzo di storia triestina. Il tunnel è chiuso a chiave da un cancello e viene aperto solo per immergerlo di spazzatura.

Sorge però spontaneo domandarsi a chi spettava la custodia dei cimeli funebri, e perché il loro legno è ridotto a marcire facendo questa immeritata fine. Erano quei carri funebri recuperati a suo tempo dal professor Diego de Henriquez? Si potrebbero ancora recuperare.

Igor Buric

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