Quei cefali proibiti acquistati all’alba

Leggera, Leggeron, Vanessa. Tre imbarcazioni da pesca triestine hanno esibito questi nomi dipinti sui loro scafi. Erano ormeggiate di giorno al Molo Venezia, a due passi dalla pescheria, ora divenuta “Salone degli incanti”. Gli equipaggi lavoravano formalmente per cooperative, consorzi, o società non ben definite negli scopi e negli organigrammi perché mutavano di continuo sede, ragione sociale e vertici. Tutte e tre le barche però facevano riferimento a un unico armatore. Si chiamava Toni Lorello, non amava rispettare alla lettera regole e gerarchie; gli appioppavano multe e sanzioni per aver violato qualche norma sulla pesca, per aver calato le reti in punti proibiti del golfo, per aver usato in modo disinvolto la nafta superscontata che - secondo l'accusa - finiva troppe volte dai serbatoi della barche a quelli di alcune vetture. Era in buona compagnia Toni Lorello in questi “travasi” di carburante e rideva quanto citava il nome di un manager di una società di salvataggi marittimi, bloccato dalla Finanza con due taniche ben strette nelle mani mentre usciva dal pontile Istria per rifornire la sua potente automobile.
Toni Lorello pensava e pescava a modo suo. Al termine di una notte infruttuosa, ormeggiò la Vanessa al pontile della Siot. Non c'erano petroliere. Fece calare la saccaleva, accese le lampare. La rete si riempì presto di cefali. Guizzanti e abbondanti. Una pesca miracolosa, impossibile in altre zone del golfo invano battute nelle ore precedenti con lo scandaglio a colori. Era quasi giorno quando la Vanessa sciolse le cime dall'ormeggio “proibito” dell'oleodotto. Nessuno l'aveva disturbata nonostante le migliaia di watt delle sue lampare. La luce intensa attirava il pesce, ma apparentemente non era vista dagli uomini. Un’ora più tardi i cefali erano al mercato all’ingrosso, ancora ospitato dalla pescheria centrale. La vendita non subì scossoni o rallentamenti. E l'incasso fu buono, anzi trionfale. I cefali targati Siot finirono nelle rivendite rionali. Altri furono disinvoltamente venduti a privati sulla banchina. Soldi in una mano, sacchetto di plastica nell’altra. Era un’antica consuetudine triestina quella di acquistare direttamente il pesce dalla barca appena rientrata in banchina. Almeno era fresco, anzi guizzante.
Dopo alcuni giorni il mistero delle lampare non viste fu chiarito. Quella notte non c'erano in golfo motovedette di pattuglia e gli uomini di guardia al pontile della Siot forse dormivano. All’epoca uno dell'equipaggio della Vanessa restava a terra, all'imboccatura della Sacchetta. Osservava le prue, le contava con attenzione e riferiva a Toni Lorello con un walkie talkie se qualcuno stava per accendere i motori per avviarsi verso l'agguato. Frammenti di un piccolo mondo che non c’è più, efinitivamente spazzato via dal trasferimento del mercato all'ingrosso del pesce alla banchina dell’ex Gaslini, a ridosso della collina di Servola, a due passi dalla Ferriera. (c.e.)
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