Quel monumento che da 68 anni divide i goriziani

Torna d’attualità la proposta di rifarlo dopo la distruzione ad opera dei domobranci. Devetag: «La lapide non si tocca»
Di Roberto Covaz

Dall’alba del 12 agosto del 1944 a Gorizia è aperta una ferita che non si vuole o non si può rimarginare: il monumento al Parco della Rimembranza che ricorda i Caduti italiani nella Prima guerra mondiale.

Oggi, dopo 68 anni, il tema torna di attualità. O meglio, ritorna d’attualità perché le dispute sul monumento sono cicliche.

L’ultima puntata della vicenda comincia l’undici febbraio scorso con la pubblicazione nella pagina delle Lettere di un appello per la ricostruzione del monumento. Lo firma una cittadina cormonese, Irene Grusovin. L’appello è rivolto al sindaco Romoli e all’assessore Devetag. Ma i due non rispondono e la questione sembra finita lì. Invece no. Cominciano ad arrivare diverse lettere, che esprimono punti di vista diversi e spesso opposti. Si cimentano nella discussione anche due calibri da novanta della storia goriziana: Italico Chiarion e Roberto Telesforo. Quest’ultimo, in particolare, svela inediti retroscena sull’attentato al monumento. La versione ufficiale è che si trattò di una rappresaglia dei domobranci contro la popolazione italiana di Gorizia. I domobranci erano soldati sloveni alleati dei Tedeschi che all’epoca occupavano Gorizia. I Tedeschi autorizzarono l’utilizzo dell’italianissimo Teatro Verdi per un concerto degli sloveni. Fascisti locali, “indispettiti”, fecero scoppiare una bomba durante lo spettacolo. Morirono cinque persone. Un aspetto appare assodato: il monumento non fu fatto saltare dai Titini. Quelli dovevano ancora arrivare.

Interessato alla questione è Dario Stasi, direttore di Isonzo-Soca. Ricorda come il suo giornale già nel 2003 lanciò la proposta di ricostruire il monumento. Oggi Stasi amplia il ragionamento e sostiene che per prima cosa si dovrebbe cambiare la lapide posta ai piedi dello stesso. Nel senso che vengono ricordati solo i Caduti nelle fila dell’esercito italiano e non i goriziani caduti nell’esercito austro-ungarico. Inoltre, nella lapide compare la parola “odio” che a Stasi non piace.

L’assessore al Parco culturale Antonio Devetag ha un’opinione diversa: «La lapide esprime un sentimento reale. L’odio c’era eccome. Certo, bisogna contestualizzare ma la memoria non va cancellata. Non si possono mettere delle toppe alla storia. Quanto alla ricostruzione del monumento io propendo a lasciarlo così com’è. Non oso pensare il tortuoso e insidioso iter amministrativo che si dovrebbe percorrere».

Sono graditi altri interventi e della diatriba chiederemo conto anche al sindaco. È innegabile però che le rovine nel centro del Parco della Rimembranza rappresentino per il visitatore un elemento di stranezza che non passa inosservato. Quando poi ci si azzarda a spiegare al forestiero che nulla sa di Gorizia il motivo per cui il manufatto è ridotto così si ottiene uno sguardo di incredulità condito con la solita considerazione: “Non ne sappiamo nulla noi italiani della storia di questa città”.

In attesa di ulteriori contributi è evidente però un aspetto: la maggior parte dei cippi del Parco della Rimembranza è messa malissimo.

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