Quel salice di via dell’Agraria custodisce la storia di Panzano

Era stato piantato alla fine degli anni ’50 affacciato alla roggia San Giusto ed ora è soffocato dal parcheggio Fincantieri. Tonini: «Va protetto e tutelato»



È enorme il salice che sorveglia l’incrocio tra via dell’Agraria e via Rossetti, a Panzano. Ora è soffocato dal parcheggio selvaggio dei lavoratori dell’indotto Fincantieri, ma alla fine degli anni’50 quando fu messo a dimora, era una presenza solitaria affacciata sulla roggia San Giusto. A piantarlo fu Luigi Morsan, che al lavoro nel cantiere navale affiancava quello nell’appezzamento di terra dove ora c’è il parcheggio a raso di Fincantieri.

«Tutti lo conoscevano come Luigi Cecchini, perché la sua compagna era Maria Maddalena Cecchini», racconta Livio Tonini, “nato nell’agraria” che, costruita a corredo dal rione operaio, garantiva frutta, verdura, vino, carne, latte alla mensa dello stabilimento navale e allo spaccio della Company town voluta dai Cosulich. Campi e frutteti si stendevano in tutto lo spazio ora occupato dallo stabilimento Sbe, che alcuni anni fa ha recuperato le case coloniche dell’agraria. Quelle in cui abitavano la famiglia di Livio Tonini, originaria di Terzo di Aquileia, dei Tonzar e dei Sandrin, originari di Fiumicello, i titolari della mezzadria, del capo dell’azienda agricola Pizzignacco.

«Il direttore dell’azienda era però Antonio Rizzatti, poi sindaco di Monfalcone, che due volte all’anno, a giugno e luglio portava noi figli dei contadini a mangiare il gelato al bar Sport di Panzano», racconta Tonini, che da tempo cercava di ricostruire la storia del salice per arrivare a una migliore tutela. Quella che vorrebbe raggiungere anche l’amministrazione comunale, benché il vecchio “stropér” non abbia le caratteristiche di pregio ed età per rientrare nell’elenco degli alberi monumentali della Regione.

«Una sua valenza storica e sociale può però aiutarci», sottolinea l’assessore all’Ambiente Sabina Cauci. Di certo in 60 anni di vita l’albero ha acquistato dimensioni considerevoli, ben diverse da quelle dello “stecco” che un giorno Cecchini piantò a ridosso del campo coltivato a mais, aggiunge Tonini, aiutato nel ricostruire le vicende dell’albero dalla figlia di Luigi, Giorgia Cecchini. «Mi ha raccontato che abitavano nell’albergo operai, come diverse altre famiglie a quel tempo – prosegue Tonini –, e che il padre ottenne appunto la possibilità di coltivare il campo. Quanto fece fino alla fine degli anni’60».

Poi via dell’Agraria, fino a quel tempo sterrata, fu asfaltata e l’appezzamento fu richiesto dalla società per creare un parcheggio. L’agraria aveva già smesso la sua funzione qualche anno prima, all’inizio del decennio, dopo aver provveduto per trent’anni abbondanti al rifornimento della mensa. «Tonzar e Sandrin dovevano cedere metà dei prodotti al cantiere, potendo disporre dell’altra metà – ricorda Tonini –. A turno poi i contadini andavano a recuperare gli avanzi della mensa che servivano per dar da magiare ai maiali». Nulla andava sprecato. «Noi però stavamo benissimo, c’era di tutto, anche se magari non i soldi per comprare il gelato», aggiunge Tonini. La roggia forniva gamberi e pesci d’acqua dolce, salvo tingersi di rosso il venerdì, quando veniva effettuata la macellazione degli animali nel macello vicino alla Marcelliana. «Credo che il salice vada protetto e ne vada raccontata la storia – dice ancora Tonini, che nell’ agraria ha abitato fino agli anni’80 con la moglie Ivana e la famiglia –, perché è anche quella di ciò che è stato Panzano». —



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