Quel villino con piscina registrato come deposito
Dagli atti, pubblicati nel corso degli anni, anche sull’Albo pretorio della pagina web del Comune, così come all’interno dell’Osservatorio regionale sugli abusi edilizi (quest’ultimo non particolarmente aggiornato), emerge che i triestini cercano di farla franca soprattutto per quanto riguarda i beni paesaggistici: evitano dunque di richiedere l’autorizzazione per eseguire dei lavori che coinvolgono questi beni. Magari rimuovendo stucchi o affreschi senza il parere della Soprintendenza.
Succede un po’ dappertutto, anche in piazza Venezia, nel centro cittadino, ma pure lungo il Carso e in Costiera. S’inserisce nel parterre degli abusi l’omissione di denuncia dei lavori. Non son mancati a livello locale le sospensioni di cantieri in lavoro poiché era stato riscontrato un illecito ritenuto comunque sanabile. Ad esempio in via dell’Eremo, ma anche a Opicina e a Santa Croce. A occuparsi di eventuali abusi inerenti all’edilizia urbanistica è il Comune, di cementi armati e normativa antisismica la Regione e di beni monumentali la Soprintendenza. Quasi sempre incide positivamente il tempo: in cinque-sei anni passa la paura, perché, spesso, l’abuso va in prescrizione, anche se comunque viene inserito nell’elenco dell’Osservatorio regionale degli abusi edilizi.
In molti ricorderanno la villetta di 120 metri quadrati con piscina costruita a Monte San Pantaleone che risultava però essere registrata come deposito di attrezzi con tettoia. Il reato ipotizzato a carico del proprietario (del quale non erano state fornite le generalità) è quello di aver realizzato un’opera edilizia in assoluta assenza di permesso di costruire. Insomma tutta abusiva. Il reato prevede l’arresto fino a due anni e anche un’ammenda che supera 50 mila euro.
In quel caso l’indagine era nata dallo scrupolo di un impiegato dell’ufficio tributi. Confrontando i dati comunali con quelli catastali ha scoperto alcune incongruenze riguardanti manufatti edili intestati alla stessa persona nella zona di Monte San Pantaleone. Era emerso che sui registri sui dell’amministrazione comunale quella villa risultava un deposito attrezzi interrato (dal 1995), al quale si era aggiunta una tettoia aperta su due lati (2002) e un soppalco (2008). Due anni dopo era stato denunciato il ripristino di un muro di contenimento e, due anni dopo ancora, la realizzazione di una scala di collegamento tra due pàstini. Gli uffici catastali invece dopo un sopralluogo effettuato nel 2008, avevano riclassificato l’immobile da C2 e C7 (magazzino e tettoia aperta) ad A7 (villino). Insomma un’evoluzione prodigiosa - a quanto pare - in barba a tutte le norme. Perché appunto quella che poi da magazzino è diventato villino, dopo il 2008 è stato arricchito anche con una piscina interrata e non certo di piccole dimensioni. —
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