Quella lettera inviata da Bellomi
Io non dico di non aver sbagliato. Può darsi. Tutti possono sbagliare. Sarà stata forse un’imprudenza. Ma vorrei far capire perché l’ho fatto. Primo perché ogni persona, anche quando sbaglia, resta figlio di Dio, e io mi sento pastore di tutti i triestini. Secondo: perché io sono un srvitore della verità e mi era stata chiesta una testimonianza. E io questo ho fatto: ho detto che non sapevo niente». Aveva pronunciato queste parole monsignor Lorenzo Bellomi, vescovo di Trieste nel 1988, finito assieme a un nutrito plotone di gente che conta in città nella bufera delle lettere scitte a favore di Sandro Moncini che gli hanno poi consentito di ottenere una riduzione della pena.
Oltre a quella di Bellomi di lettere, o meglio di affidavit, ce ne sono stati 35. Tra le tante quella del vice presidente della giunta regionale Alessandro Carbone che poi, nel mezzo della bufera, aveva dichiarato: «Non riscriverei quella lettera. Ma solo per il grande rammarico di aver visto effettivamente le istituzioni coinvolte in una storia processuale alla quale dovevano restare estranee. Agli atti del giudice americano Ronald Lew risultavano poi gli affidavit del presidente del Llyod Adriatico Irneri e del condirettore generale Viatori. Quest’ultimo aveva scritto: Trovo opportuno evidenziare il suo carattere pacifico e rispettoso della personalità altrui». Ma nel dossier ci sono anche gli affidavit dell’allora presidente della Cassa di Risparmio Aldo Terpin «si è sempre comportato come una persona educata ed equilibrata», dell’allora assessore alla Cultura Arnaldo Rossi e del consiglio direttivo del Tennis club triestino. Avevano scritto anche Mauro Azzarita, Dino Conti, Enrico Carnici, aiuto primario di ortopedia al Maggiore che aveva definito Moncini «una persona buona e onesta incapace di atti di violenza».
E poi ancora Livio Merluzzi, titolare della farmacia «Al Castoro» e il professor Mario Zandegiacomo docente di statistica all’Univerità. E poi ancora il pm Roberto Staffa che poi era stato trasferito a Venezia. Il suo affidavit era stato ritenuto inopportuno. (c.b.)
Riproduzione riservata © Il Piccolo