Quell’ex voto offerto ai frati «Ho visto la morte fermarsi»

Luca Fracaros rimase incastrato con la testa negli ingranaggi del suo camion: «Sentivo il rumore delle ossa che si spezzavano. Qualcuno deve avermi protetto»
Bonaventura Monfalcone-23.03.2018 Luca Fracaross-Fiumicello-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-23.03.2018 Luca Fracaross-Fiumicello-foto di Katia Bonaventura

FIUMICELLO. Nella penombra di una delle navate del Santuario di Barbana, perduto in una parete dove ce ne sono centinaia, si trova un ex voto che ricorda una terribile, calda giornata d’estate. Un piccolo quadro a olio rappresenta con tre semplici elementi un gravissimo incidente: un camion bianco e blu, una figurina accasciata e una macchia di sangue rosso sull’asfalto. Luca Fracaros ricorda, seduto nella sua cucina a Fiumicello, con la precisione di chi li ha rivissuti molte volte nella mente, i fatti accaduti il 26 luglio 2011. Tasselli di un mosaico che poteva non comporsi mai. Ha un attività di trasporti nautici: “trasloca” piccole imbarcazioni. A settembre le porta dal mare ai cantieri o alle case dei proprietari e, all’inizio dell’estate, compie con loro il viaggio inverso. Sul suo camion rosso si legge bene la scritta Luca Trasporti e non sfuggono certo le decine di peluche adagiati sul cruscotto. Ma nel 2011 l’attività era cominciata solo da qualche anno e il suo camion era bianco e blu. Iniziandola, Luca, ex titolare della ditta famigliare Fracaros pavimenti e scale di Villa Vicentina, aveva inaugurato una nuova fase della sua vita, abbandonando il mestiere precedente senza rimpianti.

Quel 26 luglio, a Villa Vicentina, dopo pranzo, raggiunge nella stradina di fianco a casa il suo camion: vuole prepararlo per il lavoro successivo. Il mezzo, per lo spostamento delle barche, monta una gru. In quel momento il suo braccio è aperto. Luca deve chiuderlo per riportarla nel suo alloggiamento. Una serie di leve all’interno di un tondino rettangolare di ferro devono essere spostate per manovrare l’operazione. Il braccio della gru deve ruotare e chiudersi contemporaneamente, passando sopra la testa di chi controlla l’operazione. Qualcosa va storto. Il sole è alto e acceca, un attimo di distrazione. La gru non ruota più, ma continua inesorabilmente a chiudersi, ma è troppo bassa e colpisce Luca sbattendolo con forza verso il quadro dei comandi. Con la testa batte una prima volta la fronte contro un pistone e scivolando in basso si infila, piegando il tondino di ferro, nell’intercapedine che contiene i comandi e, di profilo, si appoggia alle leve bloccandole nella posizione di marcia, mentre la gru continua a spingere, a destra, sulla sua scatola cranica.

«Ho perso conoscenza per pochi attimi, quando mi sono ripreso ero incastrato fra le leve. Il braccio della gru continuava a spingermi e a schiacciarmi, sentivo il rumore delle ossa che si spezzavano, ma non potevo spostare i pomelli e fermare la sua marcia. A quel punto ho iniziato a gridare». Il suocero esce di casa e si rende conto della situazione. Luca gli dà delle istruzioni. L’uomo, che conosce il mezzo, riesce, utilizzando il quadro di comando dall’altra parte del camion, a bloccare il braccio della gru. «Non mi rendevo conto delle mie condizioni, mia moglie, uscita di casa, urlava, mi sono disteso a terra, mia suocera allora si è distesa con me e mi ha messo un braccio sotto la testa...» è questo l’unico momento in cui Luca si commuove, gli occhi gli si riempiono di lacrime, si ferma un attimo, rivive il momento «quando, arrivati i soccorsi, l’hanno allontanata per prestarmi le prime cure, ho visto che i suoi abiti erano zuppi di sangue». È li che forse inizia a rendersi conto delle sue condizioni. «A quel punto ero presente, lucido come prima, ma non parlavo più, non riuscivo più a comunicare». Eppure ricorda: la gente intorno, le frasi dette dagli infermieri, le persone che conosce che gli sfilano accanto. Luca era, ed è, volontario della Croce Verde di Cervignano, conosce e riporta le parole tipiche degli interventi d’urgenza. Ripensa, con dispiacere, soprattutto allo sguardo del medico che, dopo aver constatato le sue condizioni, si rivolge all’infermiere che gli è a fianco e scuote la testa in segno di rassegnazione. «Poi devono avermi sedato, ho chiuso gli occhi e ho perso conoscenza per quello che mi è parso un secondo».

Quarantotto ore dopo si sveglia e non sa dov’è. «Sono vivo» si sorprende a pensare. È nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Udine dove l’elisoccorso l’ha trasportato. Operato dalla dottoressa Lucia Comelli, ha 350 punti in testa e il cervello esposto a destra, dove la gru ha creato un buco e dove solo un anno dopo, una cranioplastica gli consentirà di ritornare completamente alla sua vita. «Sono rimasto 485 giorni a casa, non volevo nemmeno più saperne della mia attività - riflette - Sono andato a vedere il camion solo dopo sei mesi dall’incidente; infondo pensavo fosse un po’ colpa sua quello che mi era successo». Ad un passo dalla cessione però ci ripensa e decide che quella è ancora la sua strada. «Per un certo periodo di tempo è stato come esserci senza esserci veramente, come se guardassi le cose dall’alto. Forse era il mio modo di riflettere su come le cose sarebbero state se non ci fossi stato più». «Ricordo la notte del Natale subito dopo l’incidente - aggiunge - Ero in Chiesa, mi sono messo a piangere, mi sentivo fortunato e allo stesso tempo estraneo. Tutto era amplificato. Poi pian piano la normalità ritorna». «Fa bene ricordare» dice con gli occhi azzurri un po’ arrossati. Luca è molto impegnato, porta avanti mille attività. Molte cose sono cambiate nella sua vita, «sono più felice ora, la mia vita è ricominciata sette anni fa e l’affronto con uno spirito diverso».

Da bambino i suoi genitori lo portavano a Barbana una volta all’anno, lui continua questa tradizione. In quello stesso 2011 ha offerto il suo ex voto consegnandolo ai frati dell’isola che una volta all’anno, il 26 luglio, per lui recitano una messa. «Ho visto la morte fermarsi un momento e andarsene» scandisce e, poco dopo, soppesando le parole «troppe coincidenze fortuite e fortunate hanno accompagnato il mio incidente», bastava che gli angoli di impatto variassero di pochi centimetri e non ci sarebbe stata nessuna intercapedine a dare il tempo necessario all’intervento che l’ha salvato. «Qualcuno deve avermi protetto - sorride - mettendomi una mano sulla testa».

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