«Qui non trovavi solo cibo e un letto ma pure il calore di un sorriso»

le storie
Senza fissa dimora, sole, con problematiche di salute mentale, con dipendenze, migranti, soggetti in situazioni di cosiddetta deprivazione economica. Erano queste le persone che si rivolgevano all’Help Center e che, ora, provano un senso di mancanza e in alcuni casi di rabbia in seguito alla sua chiusura, come testimoniano gli operatori e i volontari ancora presenti in strada per fornir loro un supporto. Il Consorzio Interland per l’integrazione e il lavoro ha deciso di raccogliere le loro storie in un opuscolo intitolato “La strada e la stazione. L’esperienza dell’Help Center di Trieste”, per raccontare alla cittadinanza il servizio svolto e il significato che esso aveva per le persone che vi si rivolgevano.
«Mi sono sentito solo tante volte, come un animale. Grazie a voi non mi sentivo sempre così, riuscivo a dimenticare. Sì, io sono un barbone ma non sono un animale: non ho bisogno solo di dormire e mangiare. Ho anche altri bisogni e voi ascoltate, mi aiutate con poche parole a non buttarmi giù quando mi sento un animale». È la testimonianza di una donna rumena di 59 anni, raccolta assieme a quella di tante altre persone da Barbara De Santis, operatrice della Cooperativa La Quercia all’Help Center.
«Un posto dove andare e trovare delle facce sorridenti, anche solo per parlare, per raccontare se abbiamo qualche problema. Era il nostro punto fermo», racconta un uomo di origini tunisine.
Non solo, dunque, un punto di incontro e di ascolto, ma anche un luogo familiare, dove si potevano trovare amici e pure conforto. «Un grandissimo aiuto: senza l’Help Center eravamo lì, su una panchina. Potevo trovare brave persone e soprattutto umane. Non considero giusto che l’Help Center sia chiuso perché Trieste è una città di confine e deve essere ospitale», afferma R., un cittadino albanese di 42 anni.
Ma che cosa ha fatto concretamente l’Help Center per queste persone? «Una volta mi sono rotto una gamba e avevo le stampelle. Era da un po’ che non chiedevo il posto per dormire ma quella sera sono andato a chiederlo all’Help Center. Visto che ero in quelle condizioni hanno trovato un posto per me finché avevo il gesso alla gamba. Adesso non saprei dove andare», racconta a sua volta Y. , un 29enne venuto dall’Ucraina. «Gli operatori sono bravi, ci conoscono bene e conoscono la nostra storia. Abbiamo fatto amicizia, sappiamo che possiamo andare lì anche solo per bere un bicchiere di the e fare due chiacchiere», riferisce T., 40 anni, dalla Tunisia. Il quale aggiunge che adesso le persone continuano ad arrivare davanti all’Help Center e la Polfer deve spiegare che è stato chiuso. Infatti, al centro non si rivolgevano solo i senza fissa dimora della città, ma anche parte di coloro che giungono a Trieste dalla rotta balcanica. Chi riparte verso la Francia o la Germania spesso manda a quelli che non sono ancora arrivati a Trieste le coordinate dell’Help Center. Come spiega Asad, un mediatore afghano, per le persone di passaggio l’Help Center è fondamentale perché permette di non rimanere bloccati a Trieste e offre un aiuto temporaneo. «Per quanto mi riguarda invece – aggiunge Asad – l’Help Center non era solo un progetto ma era una parte di Trieste che mostrava al mondo la gentilezza, l’ospitalità e l’umanità della città».—
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