Quindici pini, olmi e platani nel gruppo degli alberi “vip”

Due cerri, una sofora del Giappone, un corbezzolo, due platani comuni, un tiglio selvatico, due roverella, un leccio, un pino d’Aleppo, un pino grigio, una sequoia sempreverde, un olmo del Caucaso e un cipresso comune. Sono quindici gli “alberi monumentali d’Italia” presenti a Trieste. Sono quelli contenuti nel primo elenco approvato dal Ministero delle politiche agricole. Sono state censiti in tutto il Paese 2. 407 alberi che si contraddistinguono per valore biologico ed ecologico (età, dimensioni, morfologia, rarità della specie, habitat per alcune specie animali), per l’importanza storica, culturale e religiosa che rivestono in determinati contesti territoriali. Dei veri monumenti verdi o “patriarchi della natura” visto che molti superano tranquillamente il secolo di vita.
Il primo elenco degli alberi monumentali d’Italia è stato approvato dal ministero delle Politiche agricole e forestali a dicembre 2017 e pubblicato in Gazzetta ufficiale a febbraio. Da quel giorno si può consultare anche sull’albo pretorio del Comune di Trieste. Il nucleo più importante delle alberature monumentali di Trieste è quello del Parco di Miramare dove si trovano anche le essenze più esotiche come la sequoia sempreverde alta trenta metri: la proprietà ovviamente è del ministero dei Beni culturali. Ad Opicina, invece, troviamo in via della Vena una Sofora del Giappone (alta 12 metri) di proprietà di Luciana Cossutta che fa parte del Club Touristi Triestini e del gruppo “Vivere Opicina e l’Altipiano”. L’albero monumentale più alto (35 metri) è quello del cerro della dolina di Percedol di proprietà del Comune di Trieste. Nella classifica della circonferenza del fusto vince la gara il platano comune del giardino pubblico Muzio de Tommasini sempre di proprietà del Comune di Trieste: 5 metri e 25 centimetri di circonferenza (160 centimetri di diametro). Nell’elenco ci sono anche il pino d’Aleppo del Parco Revoltella (proprietà del Mibact), il cerro della Val Rosandra (di proprietà della Comunella di Bagnoli della Rosandra), il tiglio Selvatico di Crogole (di proprietà della Parrocchia San Ulderico di San Dorligo della Valle), la roverella dei giardini dell’Università degli Studi di Trieste e l’olmo del Caucaso di Villa Sartorio.
Allargando l’orizzonte ci sono poi il terebinto del sentiero Rilke di proprietà del Comune di Duino Aurisina, il cipresso di Monterey della Baia di Sistiana di proprietà della Serenissima, società di gestione di risparmio e il salice bianco dello stadio di Muggia. I quattro alberi monumentali di proprietà del Comune di Trieste (i due platani del giardino pubblico, la Zelkova carpinifolia del Caucaso di Villa Sartorio e il cerro di Percedol) rientrano nel progetto esecutivo da 135 mila euro varato lo scorso anno dall’amministrazione comunale per i 78 alberi “a rischio schianto”.
Ma in soccorso agli alberi monumentali d’Italia arriva anche la Regione Friuli Venezia Giulia: prima in Italia, assieme alla Sardegna (400 alberi monumentali censiti), che si è datata di un regolamento che prevede contributi da 500 a 5 mila euro per i grandi arbusti, veri e propri monumenti verdi che necessitano di attenzioni. Nel marzo del 2017 è stato pubblicato l’elenco regionale degli alberi monumentali: sono state censite 138 piante di valore storico. Su questi alberi verranno effettuati interventi di salvaguardia per circa 300 mila euro, ovvero la cifra stanziata nel primo bando regionale per la cura e la salvaguardia degli alberi monumentali. I contributi possono variare da 500 a 5 mila euro a pianta.
L’elenco degli alberi monumentali d’Italia è destinato a crescere nel tempo. Per legge sono previsti due aggiornamenti all’anno. Sono circa 400 i nuovi alberi monumentali d’Italia che verranno aggiunti entro giugno al primo elenco. E così dai primi 2.407 si arriverà a quota 2.800. L’ultimo censimento dei “monumenti verdi” risaliva al 1982 e ne contava 1.405. Nel 2013 una legge statale ha stabilito la tutela e la valorizzazione omogenea di questi alberi, e l’obbligo di censirli entro un anno. Il lavoro, che ha impegnato soprattutto i Comuni, ha però richiesto più tempo del previsto, e così si è arrivati a oggi. Trentacinque anni dopo. Ovvero 35 cerchi ulteriori sul tronco. I patriarchi della natura non hanno fretta. E non temono il passare del tempo.
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