Racket badanti, pena aumentata in Appello

L’impiegata della Provincia Stefania Atti voleva un “premio” dalle assistenti che sistemava. Due mesi in più per la calunnia
Di Roberto Covaz

La Corte d’Appello di Trieste (presidente Igor Maria Rifiorati) ha condannato la goriziana Stefania Atti a complessivi tre anni e otto mesi di reclusione per induzione indebita e calunnia. Si chiude così il secondo grado del processo del cosiddetto racket-badanti. In primo grado l'ex dipendente (con progetto a termine) dell'Ufficio lavoro della Provincia era stata condannata a due anni e due mesi di reclusione per il reato di induzione indebita, un anno e quattro mesi di reclusione per calunnia, interdizione dai pubblici uffici per due anni e due mesi, risarcimento danni alle tre parti civili da stabilire in sede civile (richiesta 10mila euro a testa) e pagamento delle spese processuali.

La condanna di secondo grado dunque è stata peggiorativa per la ricorrente. Lo stesso procuratore generale Carlo Maria Zampi aveva chiesto un aumento della pena, segnatamente per il reato di calunnia. Tesi accolta alla corte che ha aumentato la reclusione da tre anni e sei mesi a tre anni e otto mesi. Soddisfatto l’avvocato Sascha Kristancic che ha assistito le tre badanti calunniate da Atti: «La Corte d’Appello ha stabilito in modo indiscutibile che le mie assistite sono assolutamente credibili. Procederemo davanti al giudice civile per la quantificazione del danno».

Stefania Atti non era presente in aula al momento della lettura della sentenza. Nella precedente udienza, assistita dagli avvocati Caterina Belletti e Luca Ponti, aveva presentato una dichiarazione spontanea tesa a sottolineare il suo impegno civile e sociale, come nell’organizzazione del comitato contro le multe ai semafori. A suggellare tale tesi da segnalare il fatto che nell’ultima udienza l’avvocato Belletti ha consegnato alla corte la pagina de Il Piccolo dello scorso 20 gennaio in cui, a corredo della notizia dell’avvio del processo di appello, era stata pubblicata una fotografia che ritraeva Atti nella veste di coordinatore del comitato. Il suo impegno civile e sociale non è mai stato messo in dubbio. Il processo riguardava altro.

L'accusa nei riguardi di Atti, verteva sul fatto che l'impiegata a tempo determinato della Provincia - con la complicità di una badante rumena che in primo grado ha patteggiato la pena - pretendeva che le assistenti domiciliari cui lei trovava lavoro le corrispondessero un riconoscimento. Una ventina in tutto i casi acclarati che nella primavera del 2011 portarono all'arresto di Atti dopo un'indagine coordinata dalla Procura di Gorizia e svolta dalla guardia di finanza di Monfalcone. All'inizio del processo di primo grado Stefania Atti era accusata di concussione. Ma il pm Laura Collini aveva poi ricalibrato l'accusa - in induzione indebita - perché l'imputata all'epoca dei fatti non ricopriva il ruolo di pubblico ufficiale ma di incaricato di pubblico servizio. Tra un mese il deposito delle motivazioni della sentenza. Probabile ricorso in Cassazione della difesa di Atti.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo