«Rette non dovute dai familiari»
Il diritto alla salute è stato riconosciuto anche dalla Cassazione, con la nota sentenza n.4558 del 23 marzo 2012. C’è un aspetto da considerare: le strutture di cura pubbliche e convenzionate prevedono la firma di una sorta di “accordo”, con il quale l’utente o più spesso il familiare o persona che si fa carico del malato, s’impegna a pagare la retta. Il tema legato all’Alzheimer è da anni motivo di battaglia giudiziale. Numerosi sono stati i ricorsi ai Tribunali ordinari in Italia. L’Associazione Confconsumatori di Gorizia, che ha sede a Monfalcone, la cui responsabile è l’avvocato Elena De Luca, si sta occupando da tempo della problematica nel nostro territorio, ma anche in regione. L’ultima sentenza è stata pronunciata dal Tribunale di Verona il 21 marzo 2016. La causa è stata promossa dall’avvocato Maria Luisa Tezza, che ha rappresentato il figlio di un donna malata di Alzheimer, trovatosi di fronte all’ingiunzione di pagamento della retta della casa di riposo dove la madre era ospite, avendo sospeso i versamenti. La sentenza ha confermato che la copertura economica è appannaggio del Servizio sanitario nazionale, trattandosi di «prevalente prestazione sanitaria rispetto a quella assistenziale». Si afferma che «nulla è dovuto dall’utenza o dal Comune, in quanto non può dirsi sussistente alcuna componente sociale della retta, esclusivamente sanitaria. Ciò comporta la nullità di qualsivoglia “patto” siglato tra l’utente o i suoi parenti e le strutture di ricovero, volti a corrispondere alla struttura parte o l’intera quota sociale». Nella norma rientrano i malati gravi, invalidi al 100%, non autosufficienti. Il sostegno economico riguarda anche l’assistenza a domicilio. L’avvocato Tezza ha spiegato: «La normativa stabilisce per i casi di trattamenti e cure a domicilio della persona anziana benefici fiscali nell’ambito della dichiarazione dei redditi. Ciò a fronte di un programma terapeutico che contempla l’intervento del medico di base e di figure sanitarie come le Oss».
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