Ritorna la fantascienza a Trieste con «Metropolis» restaurato

TRIESTE
«I film di fantascienza sono morti, come i western». Non ci cureremmo troppo, da appassionati della Sci-fi, di questa cupa e drastica affermazione, se non fosse stata proclamata, due mesi fa sul «Times», da Ridley Scott, l’autore di «Alien» e «Blade Runner». Per Scott, «non c’è più niente di originale. Abbiamo visto già tutto e né ”Matrix”, né ”La guerra dei mondi” possono battere in effetti o atmosfera ”2001” di Kubrick». Eppure, a fronte del pessimismo di Scott, la stampa e la critica hanno di recente sottolineato un bel ritorno di questo genere, con titoli innovativi quali «Sunshine» di Danny Boyle o «I figli degli uomini» di Alfonso Cuarón, per non parlare del successo popolare della serie tv «Heroes». Perché se è vero che una certa fantascienza codificata, come dice Scott, sembra aver esaurito il suo repertorio, è pure vero che tanti nuovi film, in Europa come in America o nell’Estremo Oriente, visitano una fantascienza non tecnologica. E affidandosi a un linguaggio fantastico, ci raccontano molte cose sulla civiltà del nuovo millennio, rivolgendosi soprattutto ai giovani.


Estrapolando mondi, paure ed elementi del nostro presente, come le guerre, il terrorismo, la crisi energetica, l’immigrazione selvaggia e la repressione, questi film diventano futuribili in modo più plausibile della fantascienza classica. A dimostrare la persistente vitalità del genere, sta contribuendo con efficacia, dal 2000, la bella «Second Life» del Festival di Fantascienza di Trieste, ovvero Science+Fiction, che apre stasera alle 21 al Cinema Ariston la sua edizione «zerosette» (che proseguirà fino al 18 novembre al Cinecity), con la proiezione del classico «Metropolis» del viennese Fritz Lang, in versione restaurata e accompagnata dal vivo al piano da Federica e Francesca Badalini. Introdurrà Kevin Brownlow.


Un’inaugurazione in chiave mitteleuropea e filologica, che simboleggia alcune delle tante anime di questa manifestazione, che in sette anni ha inanellato anteprime speciali e ospiti sovversivi, riportando la città nel circuito internazionale degli specialisti, e resuscitando l’atmosfera culturale eccitante delle pionieristiche proiezioni a San Giusto. Per citare solo due assaggi esclusivi dell’edizione scorsa, ricordiamo «Tideland» di Terry Gilliam, appena uscito in sala, e «Ghost Son» di Lamberto Bava, approdato al cinema e in dvd, entrambi premi Urania alla carriera. Del resto, l’attenzione di tanti giovani e non più giovani fan, sarà di nuovo monopolizzata da queste proiezioni apripista al Cinecity. Bisogna vederli dal vero per crederci, questi sfegatati che attendono il film della mezzanotte, e guadagnano a furia di spintoni le prime file per catturare coi telefonini personaggi che sembravano miti irraggiungibili, e porre loro domande. In questi epifenomeni di sociologia festivaliera si misura, infatti, il successo più profondo della manifestazione. Perché il principale merito del nuovo Fantafestival, è quello di aver portato a Trieste, a confronto con la gente, dei veri simboli del fantastico per intere generazioni.


Per i cinefili, Science+fiction è innanzitutto una vetrina per cercare in sala i fermenti delle nouvelle vague. Anche quest’anno, nel concorso internazionale dedicato ai talenti emergenti, si profilano pellicole che sembrano avere qualcosa di «speciale», firmate da registi esordienti o quasi, anche se dotate di budget importanti. Dalla Francia arriva il noir iper-tecnologico «Chrysalis» di Julien Leclercq; dalla Spagna, il labirintico «Los Cronocrìmenes» (Timecrimes) di Nacho Vigalondo e il claustrofobico «La Hora Fria» (The Dark Hour) di Elio Quiroga; la Russia è rappresentata dalle atmosfere fantasy di «Mechenosets» (The Sword Bearer) di Filipp Yankovsky, la Finlandia da «Jade Warrior», opera liberamente ispirata al poema epico «Kalevala»; dall’Argentina, arriva il fanta silent movie «La Antena» di Esteban Sapir.


Ma per il grande pubblico, sono i Maestri incontrati di persona a costituire lo shock positivo, il canto della sirena: negli anni, registi come Argento, Avati, Bava, Landis, Gilliam e stavolta Joe Dante e Ruggero Deodato («Cannibal Holocaust»); scrittori come Aldiss, Harrison e quest’anno Valerio Evangelisti, che presenterà il «final cut» di «Blade Runner»; o artisti come Rambaldi, Gaiman, Bilal e nei prossimi giorni Alfredo Castelli («Martin Mystére») e il grande Moebius. Ed è proprio la fruttuosa interazione fra i grandi testimoni del genere (con una predilezione per il periodo ’70-’80, quello dell’immaginazione “davvero” al potere), e la vecchia-nuova tradizione del Festival, che cementa la passione di Trieste per una fantascienza che non è morta, e che non sembra neanche svenuta. Paolo Lughi

Riproduzione riservata © Il Piccolo