Ronchi, la stazione Nord abbandonata e in degrado

RONCHI DEI LEGIONARI. Alla fine dell'Ottocento, quando venne inaugurata, fu contesa tra i ronchesi e coloro i quali abitavano a Vermegliano. Quel grazioso edificio di stile austroungarico, con il tetto spiovente, faceva “gola”, era un vanto e siccome si trovava al confine tra il capoluogo e lo storico quartiere, qualcuno desiderava che il suo nome fosse un altro.
Ed invece, dopo che la prima stazione fu quella inaugurata il primo ottobre del 1860 e che che si trovava dove oggi ancora esiste l'edificio accanto al passaggio a livello, quella che la sostituì fu chiamata e rimane la stazione di Ronchi dei Legionari Nord. Era bella ed il suo fascino lo conserva ancora, nonostante siano trascorsi tanti e tanti anni.
Ma ora, come succede anche in altre parti del territorio italiano a causa del processo di razionalizzazione voluto dalle Ferrovie dello Stato e dalle società ad esse collegate, anche la stazione nord è avvolta dal degrado che si “constata” sotto parecchi aspetti. Più volte segnalati, argomenti triti e ritriti che, però, non fanno breccia nel cuore e nella mente di chi dovrebbe prendere una decisione.
Così, imboccando il viale che porta alla stessa, subito salta all'occhio che qui la spazzatrice o non ci passa o ci passa di rado.
Tutto il manto stradale è ricoperto dalle castagne che cadono dai possenti ippocastani, ma anche da rami e foglie. Fortunatamente, proprio la scorsa settimana, qualcuno è intervenuto ed ha ripulito la boscaglia che, rigogliosa, si sviluppata da anni ed anni sul lato destro della strada. Un’area pienma di alberi e arbusti, fitta e rigogliosa dove non mancava chi abbandonava rifiuti di ogni genere.
Si arriva all'ingresso della stazione, sempre troppo buio e sempre troppo anonimo e due transenne pochi metri più avanti segnalano lavori iniziati e mai finiti. Le panche per l'attesa dei passeggeri sotto la tettoia della stazione, di fronte al binario numero 1, sono state cambiate, sembrano quelle di Roma Termini ed anche le sedie all'interno della sala d'attesa, rimpicciolita per far posto a nuovi macchinari. Si spera che biglietteria automatica funzioni, che non “rifiuti” il denaro rimandandolo indietro. Altrimenti bisognerà salire in carrozza senza il biglietto di viaggio. O fare una corsa sino al “Caffè Trieste” in piazza Oberdan, quasi un chilometro a piedi e sperare che non sia lunedì, quando il bar chiude per turno o che i biglietti siano disponibili.
Certo, perchè la scorsa settimana l'unico punto vendita esistente in città è rimasto per qualche giorno sprovvisto. Ma non basta. Se l'attesa si prolunga e, come può naturalmente succedere, qualcuno volesse adempiere ai propri bisogni fisiologici deve necessariamente usufruire della “macchia” circostante.
Perche i due bagni esistenti sono stati chiusi da tempo e persino i cartelli che spiegavano la ragione sono usurati e resi illeggibili dal tempo. Insomma se da un lato la stazione sud ormai dal 2003 vede solo sfrecciare i treni davanti al proprio naso, a nord sembra si faccia di tutto per evitare che la gente prenda il treno. Come sono lontani i tempi di Totò e la sua stazione di Piovarolo. Oggi ci sono i “Frecciarossa”, ma nella periferia si fanno passi da gambero.
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