Rupert Everett: «Essere gay, sfida all’estremo»

MILANO. No, non salverebbe niente dell'educazione ricevuta da ragazzo. Rigida, formale, cattolica. Eppure, adesso Rupert Everett lo ammette con un sorriso. Senza quella disciplina così precisa, non sarebbe sopravvissuto agli anni di trasgressioni che si è regalato. “Anni svaniti”, come titola la seconda parte del suo romanzo autobiografico, pubblicato da Sperling & Kupfer a sei anni da “Bucce di banana”.
Affascinante come ai tempi di “Another Country”, “Ballando con uno sconosciuto”, l'attore di Norwich sarà ospite domani al Piccolo Teatro Grassi di Milano, in un dialogo con Natalia Aspesi, della rassegna Bookcity, inaugurata ieri. E che in quattro giorni ha messo in cartellone la bellezza di seicento eventi.
Giramondo per vocazione, capace di parlare l'italiano con splendido accento british, il divo Rupert accetta di rispondere alle domande in un elegante hotel nel quadrilatero della moda. Parte dai ricordi triestini: «Splendida città, ci voglio ritornare, magari quando soffia forte il vento». Poi respinge subito l'idea di avere costruito i suoi libri sull'arte del pettegolezzo in materia di “celebrities”. «Adoro lo scrittore inglese Christopher Isherwood - confessa - perché faceva convivere, in un equilibrio perfetto, storie vere, aspetti autobiografici e invenzioni narrative. Quando ho iniziato a scrivere, mi sono detto subito: vorrei trovare un modo per rendere i miei ricordi, le cose che ho vissuto, affascinanti come fossero un romanzo».
Truman Capote, quando scrisse “Preghiere esaudite”, fece infuriare gli amici famosi.
«Alcuni personaggi sono morti. E, in ogni caso, non li racconto con troppa cattiveria. Mi sembra che nel libro ci sia più amore nei loro confronti che odio. La mia preoccupazione maggior era di raccontare storie interessanti. Di Madonna ho voluto svelare la sua abitudine a non dormire quasi mai, o di quando sono stato il suo paggio al party di Tina Brown. Del resto, di un personaggio come Maria Antonietta vogliamo sapere anche i dietro le quinte».
I divi di oggi sono prigionieri del loro personaggio?
«Marlon Brando, Montgomery Cliff erano personaggi trasgressivi. Ma non si nascondevano. Oggi, il massimo che ci concedono certi divi sono le foto glamour che pubblicizzano qualche profumo. A parte che, fino agli anni Ottanta, nessun attore vero avrebbe mai pensato di vendersi alla pubblicità».
Colpa di?
«Di una certa deregulation in stile Reagan e Thatcher. O, se vogliamo restare in Italia, dell'era Berlusconi. Adesso i divi si vendono per un mucchio di soldi, ma non sono più padroni di se stessi. Non possono certo dire liberamente che cosa pensano su ciò che accade in Siria o in altre parti del mondo. Altrimenti vanno contro gli investitori che, alla fine, li pagano. I soldi spengono qualsiasi sogno».
Lei ha cominciato a sognare di essere un attore quand'era studente...
«Quando sei giovane è proprio un sogno, poi invecchi e diventa un incubo. Passa la passione cieca e resta solo la delusione per lo show business, come diceva bene Julie Andrews. Dopo trent'anni di carriera non ti sembra più di fartela con una ragazzina vergine, ma con una vecchia puttana».
Però sta progettando un nuovo film tutto per sé.
«Voglio scrivere la storia, recitare e fare anche il regista. Sono fermamente deciso a restare nel cinema con progetti importanti. Non mi basta portare avanti la mia carriera, accettando lavori iper commerciali. Hollywood vorrebbe spacciare i vecchi B-movies per capolavori. Si miscelano i toni della favola, una buona dose di violenza e qualche scena porno soft. No, non ci sto. Il cinema è cultura. Pensiamo ai film di Michelangelo Antonioni, non alla robaccia di oggi».
La contestata, rigida e cattolica educazione che ha ricevuto dalla sua famiglia, alla fine è servita a qualcosa?
«Senza la rigida disciplina che ho imparato da bambino, non sarei sopravvissuto ai primi dieci anni della mia vita da adulto. Sì, posso dirlo, ho fatto il possibile e l'impossibile per autodistruggermi. In ogni caso, non ho cambiato idea: io sono stato violentato dal cattolicesimo».
Brutte esperienze con qualche prete?
«No, quello no. Anzi, da ragazzo sognavo di fare l'amore con i preti. Il punto è un altro: essere omosessuale in una società cattolica ti condanna ad andare sempre oltre. A sfidare l'estremo».
Oggi è cambiato qualcosa per gli omosessuali?
«Nel 2013 siamo ancora immersi in un mare di pregiudizi. In America, il film su Liberace è stato prodotto solo dalla tivù, perché i proprietari delle catene cinematografiche fanno parte di gruppi di fondamentalisti cristiani. Non lo vogliono».
Quando ha scoperto di essere lei l'attore che ha ispirato il personaggio di Dylan Dog?
«Quando mi hanno chiamato in Italia a recitare nel film "Dellamorte Dellamore". Se l'avessi saputo prima, con una bella causa mi sarei portato a casa tanti soldi. In realtà sono felice. Mi piacciono i fumetti di Tiziano Sclavi. Considero il regista Michele Soavi un geniale tramite tra il cinema e i comics».
Sta pensando a un altro libro?
«Lo sto già scrivendo, sarà la conclusione della trilogia. E da una sintesi dei tre viaggi che racconterò vorrei trarre il soggetto per il mio nuovo film».
@alemezlo
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