Santa Gorizia, la statua al Palazzo delle Poste

Gorizia doveva essere ricostruita anche materialmente, agevolata in questo dallo stravolgimento della città cagionato dalle devastazioni del Grande Guerra tra il 1915 e il 1917. L’epilogo fu...

Gorizia doveva essere ricostruita anche materialmente, agevolata in questo dallo stravolgimento della città cagionato dalle devastazioni del Grande Guerra tra il 1915 e il 1917. L’epilogo fu devastante. Una casa su sei venne interamente distrutta. Nessun edificio di Gorizia uscì integralmente indenne da questo drammatico e ininterrotto bombardamento. Gorizia, dal 1919 al 1923, divenne un enorme cantiere: proprio in tale contesto la campagna culturale del governo fascista si inserì prepotentemente. È curioso notare come la nuova impronta architettonica fascista si sostanziò appena dalla seconda metà degli anni Venti. Dal ’22 al ’25, infatti, non sembra esserci soluzione di continuità con il regime liberale. Lo confermano le date di creazione delle opere fasciste: la Camera di Commercio di Gorizia fu eretta nel 1930, le Poste nel 1932, la via Roma iniziò ad essere tracciata nel 1935, tanto che quando Mussolini visitò Gorizia nel 1938 i lavori non erano ancora ultimati. Proprio la visita di Mussolini a Gorizia apparve emblematica: la sua funzione fu quella di trasformare i monumenti della Grande Guerra in monumenti fascisti…»

In tale senso Ivan Buttignon nel suo testo del 2014 “Santa Gorizia, i simboli della Grande Guerra nel ventennio isontino”, riporta come «i temi proposti al Palazzo delle Poste dell’architetto Mazzoni risposero all’esigenza di tradurre il sacrificio dei caduti della Grande Guerra in retorica propagandistica di regime, con prevalenza però alle suggestioni della modernità» e con abbondanza di «temi religiosi comparvero nell’iconografia fascista ufficiale dopo l’11 febbraio del 1929», ancorché fosse però il tema del sacrificio del soldato “martire” prevalentemente raffigurato nei dipinti di Cadorin nella torre.

La Guerra fu anche tema letterario, ma rispetto alla Gorizia “maledetta” della sintesi di Curzio Malaparte nel plurisequestrato testo “Viva Caporetto! ” del ’21, per la raffigurazione della città martire venne scelto Vittorio Locchi, che al conflitto prese parte come il volontario Malaparte e che nel ’16 scrisse i versi de “La Sagra di Santa Gorizia” rappresentata sul Palazzo (Locchi di mestiere era postelegrafonico) con una scultura bronzea di foggia tardo-medioevale che «per il regime fu l’unica Gorizia che ci potesse essere e che guardasse materialmente alla Patria (è infatti non a caso orientata a sud-ovest)». Collocato nel ’32, il bronzo dell’artista veneziano Napoleone Martinuzzi fu rimosso nel ’42 per fonderne il metallo ad uso bellico e il suo posto venne preso nel ’47 da una riproduzione in marmo di Carrara.

Nella foggia di Santa protettrice, la statua tunico vestita è riconoscibile per l’emblema cittadino ai suoi piedi e per il modello della chiesa che regge nella destra. Curiosamente non il Duomo di Gorizia, ben più antico, bensì la chiesa di Sant’Ignazio che per la sua architettura transalpina veniva raffigurata nelle prime cartoline dopo la presa della città con la sola facciata, tagliandone le sommità: troppo austriache le cipolle del frate architetto Cristoph Tausch per la Gorizia italiana… .

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