Scarpe e poltrone, da Treviso alla Serbia

Geox e Ditre Italia aprono nuove fabbriche nella zona franca di Vranje, nel sud del Paese. Previsti 1600 posti di lavoro
Mario Moretti Polegato, patron della Geox
Mario Moretti Polegato, patron della Geox

MILANO. Tutti in Serbia. Mobili, auto, calzature, abbigliamento, intimo e collant. Il made in Italy non perde il gusto per le delocalizzazioni nel paese balcanico. E visto il salario medio - 361 euro al mese, il più basso di tutta la regione - si intuisce bene il perché. È notizia di ieri la prossima apertura (prevista il 31 gennaio) del maxi polo produttivo nella zona franca di Vranje, nel sud del Serbia, che vede protagoniste due aziende trevigiane: la Geox di Montebelluna e il mobilificio (poltrone e letti imbottiti) Ditre Italia di Cordignano.

Si tratta di un terreno da 144 ettari, un tempo utilizzato per l’addestramento, e che oggi diventa sede di attività manifatturiera. Le fabbriche Geox e Ditre si estendono per circa un quarto del totale della superficie. L’investimento dovrebbe portare circa 1.600 posti di lavoro (1200 per Geox e 400 Ditre) in grado di tamponare, almeno in parte, la diffusa disoccupazione locale: oltre 10 mila persone sono senza impiego, in una delle zone più povere e arretrate del paese balcanico. E per agevolare l’ingresso di player italiani il governo serbo ha investito milioni di dinari in infrastrutture, strade, condotte idriche e nella rete dell’energia elettrica. Belgrado si conferma partner privilegiato per le imprese italiane che vogliono produrre all’estero. Negli scorsi anni negli ex impianti Zastava di Kragujevac si è insediata la Fiat per 2,5 miliardi di investimenti; poi sono arrivate le fabbriche dell’indotto, Magneti Marelli e Dytech, e così quelle del tessile abbigliamento, con Calzedonia (che ha tre stabilimenti in loco), Golden Lady, Pompea, Benetton.

L’investimento di Geox era in ballo da tempo, incoraggiato anche dalle agevolazioni del governo (9mila euro per ogni assunzione) e dal miglioramento delle infrastrutture che consentono uno sbocco verso i porti della Grecia per le esportazioni. Per la scarpa che “respira” di Mario Moretti Polegato tira aria di rivoluzione industriale, con gli occhi ben puntati verso est. Negli scorsi giorni al Pitti di Firenze, la società veneta, 708 milioni di ricavi nei primi 9 mesi del 2015, e 1250 negozi in 115 paesi, ha presentato la nuova linea Nordplus, per la stagione invernale 2016-2017, dedicata all’abbigliamento di lusso, con giacche adatte per i climi più freddi. L’obiettivo, oltre ad allargare la gamma di prodotti e le tecnologie traspiranti e di traspirazione del corpo, è quello di crescere nel Far East, specialmente in Cina. Geox ha infatti siglato a novembre un accordo con Pou Sheng International per sviluppare strategie di espansione sull’immenso mercato cinese prevedendo l’apertura, nell’arco di cinque anni, di 350 punti vendita monomarca e shop in shop nei centri commerciali.

Il Far East e l’impiego in ricerca e sviluppo sull’abbigliamento sono i due impegni sfidanti di Geox per i prossimi anni. Nel 2015, nei primi nove mesi dell’anno, a far da traino ai conti c’è sempre il segmento calzatura (+9,3%), contro l’arretramento ( -16,6%) del comparto dell’abbigliamento. Viaggiano forte i ricavi in Nord America (+13,9%), e risultano in aumento le vendite in Europa (+3%) e anche Italia (+5,4%). La calzatura made in Italy ha sofferto e continua a soffrire i venti della globalizzazione e soprattutto l’import made in China. La produzione italiana anche nel 2015 è in discesa, del 3,5%, con 66 imprese che hanno dovuto chiudere botteghe. Il modello Geox, fondato su produzione all’estero e investimenti in tecnologia, sembra andare controcorrente. Per gli analisti finanziari la nuova Geox si appresta a cominciare un anno pieno di sfide ma anche di opportunità. L’anno scorso, l’export in grande spolvero ha sostenuto la corsa del titolo in Borsa, che ha chiuso il 2015 in aumento del 51% a 2,69 euro per azione ma il potenziale, secondo l’agenzia Kepler, è di oltre 6 euro. Il dubbio è tutto sul Far East, croce e delizia delle imprese del lusso e del fashion. Ora si riparte con una fabbrica low cost in più. E che la emergente borghesia cinese abbia soldi e voglia di comprare Made in Italy, anche se prodotto in Serbia.

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