Scempio in Val Rosandra, parte l’indagine

Fascicolo aperto dal procuratore capo Dalla Costa dopo l’esposto-denuncia firmato dal presidente nazionale Wwf

Lo scempio della Val Rosandra è finito ufficialmente in Procura. Ieri mattina il procuratore capo Michele Dalla Costa ha aperto un fascicolo. Lo ha fatto anche se appena l’altro ieri aveva dichiarato di dover «partire dal presupposto che l’attività della pubblica amministrazione sia stata corretta in quanto tale». Il procuratore capo si era riservato, in precedenza, di «valutare» il caso. Ma ieri sul suo tavolo è arrivata una segnalazione formale. Il fascicolo dunque è stato aperto. «Al momento non ci sono indagati», ha precisato Dalla Costa.

Il via all’inchiesta giudiziaria che dovrebbe portare a individuare le eventuali responsabilità penali sull’intervento effettuato due week-end fa nell’alveo del torrente Rosandra dai volontari della Protezione civile coordinati dall’assessore regionale Luca Ciriani è scattato attorno alle 10, quando l’avvocato Alessandro Giadrossi, presidente provinciale del Wwf, ha depositato l’esposto-denuncia firmato dal presidente nazionale dell’associazione ambientalista, Sergio Leoni. «La questione non è semplice - commenta Giadrossi - perché tocca i vertici di Regione e Comune».

Ecco ciò che si legge nella denuncia: «Quanto realizzato dalla Protezione civile costituisce un illecito ambientale. Durante i lavori sono stati tagliati molti alberi di grandi dimensioni anche del diametro di 90 centimetri come pioppi bianchi e neri e ontani neri. È stato compromesso l’habitat della foresta “a galleria” che garantiva ombreggiamento e ossigenazione alle specie presenti, con disturbo all’avifauna. Inoltre il sito di riproduzione della Rana ridibunda è stato distrutto dal passaggio di mezzi pesanti come camion ed escavatori. L’intervento è avvenuto nel pieno periodo riproduttivo per l’avifauna e gli anfibi».

L’ipotesi avanzata è quella della violazione dell’articolo 743 del codice penale: distruzione o depauperamento delle bellezze naturali, punibile con una pena fino a 18 mesi e con l'ammenda non inferiore a 3mila euro. Non solo: viene anche ipotizzata l’accusa della realizzazione di opere in carenza di autorizzazioni in zone vincolate paesagisticamente. In questo caso la pena arriva fino a quattro anni di reclusione.

Nell’atto vengono indicati i presupposti giuridici. Si legge: «La Val Rosandra è stata tutelata paesaggisticamente sin dal 1953 con l’avviso numero 22 del Governo militare alleato. Dal 2007 è ricompresa nelle zone “Zps” e “Sic” come previsto dalla direttiva europea “Habitat”. Nel 1984 la zona è stata ricompresa nella Riserva comunale e nel 1996 in quella regionale».

Ma c’è un altro aspetto della questione che viene sottolineato e fa riferimento anche all’impiego della Protezione civile per interventi di questo tipo, non certo urgenti: la Protezione civile avrebbe agito in violazione della legge regionale che attribuisce i poteri di intervento alla Protezione civile stessa solo in caso di emergenza.

«L’Amministrazione regionale - prosegue l’esposto-denuncia - giustifica la carenza dell’autorizzazione paesaggistica affermando che gli interventi di taglio a raso della vegetazione nell’alveo rientrerebbero tra quelli di manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua. Ma l’articolo 149 del decreto legge 42 del 2004 invece prevede che possano essere realizzati senza autorizzazioni solo gli interventi di manutenzione ordinaria che non alterino lo stato dei luoghi. In realtà quanto fatto ha provocato una grave alterazione del paesaggio».

«Devono essere accertate le responsabilità», ha detto durante una conferenza stampa l’avvocato Giadrossi. Poi ha spiegato che l’iniziativa del Wwf vuole avere «un effetto preventivo. Perché non continuino i lavori di questo tipo. L’obiettivo è impedire che simili devastazioni non accadano mai più».

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