Scialpi, malato e pentito: «Perché dovrei restare in cella per 30 anni?»
L'ultima intervista a Graziano Scialpi, dal 2001 detenuto nel carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova e morto in ospedale nella notte tra giovedì e venerdì. "Sono affetto da una malattia gravissima - raccontava -, ma sono ancora molto attaccato alla vita. Sono pentito, perché dovrei stare in carcere per 30 anni"

Graziano Scialpi
Graziano Scialpi, dal 2001 detenuto nel carcere di massima sicurezza Due Palazzi, a Padova, ha ottenuto da pochi giorni la sospensione della pena per motivi di salute. L'ordinanza è stata firmata dal giudice di sorveglianza Giovanni Maria Pavarin. Attualmente l'ex giornalista, che il 21 dicembre del 1996 uccise a colpi di pistola in un appartamento di viale Miramare la cognata Giovanna Flamigni e rese cieca l’allora moglie Fernanda, è ricoverato nella palazzina ristrutturata che si affaccia sul lato posteriore dell'ospedale civile di Padova, situato a poche centinaia di metri dalla basilica di Sant'Antonio.
È ammalato gravemente. Ha bisogno continuo di assistenza: «Ma nonostante tutto sono ancora molto attaccato alla vita», dice Scialpi. In questi giorni al suo fianco ci sono notte e giorno entrambi i genitori.
Come si sente adesso che, dopo tante battaglie giudiziarie, ha ottenuto la sospensione della pena e non è costretto a vivere dietro le sbarre?
Purtroppo mi hanno fatto uscire dal carcere solo ed esclusivamente per gravi motivi di salute. Ossia per darmi la possibilità di curarmi nel migliore dei modi possibili anche con l'assistenza, sia affettiva che pratica, di mio padre e mia mamma, che da 14 anni non hanno mai smesso di starmi vicino e stanno vivendo sulla loro pelle le mie stesse sofferenze e anche i miei dolori. Comunque ringrazio con tutto il cuore il dottor Pavarin, un giudice eccezionale che cerca da sempre di capire i bisogni dei detenuti e non li tratta, come fanno purtroppo tanti altri uomini di giustizia , come bestie, ma come persone normali. Riandiamo a quel 21 dicembre 1996 .
Lei ogni tanto pensa ancora a quei drammatici e violenti momenti in cui tolse la vita alla sua giovane cognata e ferì gravemente sua moglie?
Certo che ci penso. Come fa un uomo a dimenticare un episodio del genere? È un episodio che ha modificato e violentato la vita di più famiglie e ha anche gettato nel girone più buio dell'inferno la mia stessa vita. Ho capito subito che avevo sbagliato e che avevo commesso il più violento dei crimini. Me ne sono pentito subito. Tuttora ritengo giusto che io debba pagare per il male che ho fatto agli altri, ma perché dovrei restare in carcere per trent'anni ? Perché la legge non deve essere uguale per tutti? Ad esempio, proprio nella mia città, nella mia cara Trieste, un altro assassino è stato condannato a meno di vent’anni di carcere anche se, dopo aver ucciso una persona, l'aveva fatta a pezzettini e gettata nel cassonetto dei rifiuti. Perché, insomma, due pesi e due misure? In tanti Paesi, poi, le pene non sono pesanti come da noi e delitti come il mio vengono puniti, in genere, con 15 anni di carcere, che non sono certo pochi».
Come ha trascorso in questi ultimi anni la vita angosciante della galera?
Per fortuna all'interno dei Due Palazzi ho trovato un clima favorevole alla socializzazione e anche al dialogo con il mondo esterno, quello che sta al di là delle sbarre. Collaboro attivamente ad alcune riviste, tra cui il periodico ”Ristretti Orizzonti” diretto da Ornella Favero, e cerco di partecipare sempre con molta attenzione al dibatto nazionale per ottenere carceri diverse e più umane da quelle attuali. A quando un nuovo sistema penitenziario, in cui il detenuto non diventi ancora più delinquente e invece venga effettivamente rieducato e riabilitato così da assicurargli un concreto reinserimento nella vita civile dopo che avrà scontato la sua pena?
È vero che ha ripreso gli studi?
Mi sono iscritto alla facoltà di Storia dell’Università di Padova. L'ultimo esame che ho sostenuto è quello di storia contemporanea con Silvio Lanaro, un docente conosciuto in tutta Europa. Ho preso trenta. Anche adesso in ospedale, nei momenti in cui mi sento meglio e non accuso dolori , prendo in mano i libri del prossimo esame e studio con grande interesse.
A proposito, come vede il suo futuro, visto che, fra i periodi di abbuono per buona condotta e gli sconti di pena grazie all'indulto, potrebbe tornare in libertà fra tre-quattro anni?
Innanzitutto ho già dato mandato all'avvocatessa padovana Anna Maria Alborghetti di presentare domanda al Tribunale per ottenere la detenzione domiciliare. L’ho fatto anche per porre fine al calvario quotidiano dei miei genitori, che non possono e non devono più andare avanti e indietro dall'ospedale. Per quanto riguarda, invece, la mia salute, sono cosciente di essere affetto da una malattia gravissima. Nonostante tutto sono ancora molto attaccato alla vita. Quindi ce la metterò tutta, ricorrendo alle terapie più avanzate, per superare anche quest'altro, bruttissimo, periodo. D'altronde la ricerca, in questi anni, proprio nel settore della medicina che cura la mia specifica malattia, sta dando ottimi risultati. Speriamo bene».
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