Scoperta la rete che proteggeva i criminali della guerra balcanica

BELGRADO. Indicati come autori di crudeli crimini di guerra. Ricercati dalle polizie di tutto il mondo. Latitanti per oltre un decennio. Come sono riusciti degli uomini isolati a prendersi gioco di investigatori e poliziotti per così lungo tempo? Hanno potuto farlo solo godendo di potenti appoggi e sostegni politici. Appoggi che hanno rappresentato “l’arma segreta” di Ratko Mladic e Radovan Karadzic. Ma anche di Goran Hadzic e Stojan Zupljanin, tutti oggi alla sbarra al Tribunale penale per l’ex Jugoslavia (Tpi), ma in fuga per anni grazie a una “rete” di protezione di altissimo livello.
Lo ha confermato ieri il Tribunale serbo per i crimini di guerra, per bocca del procuratore capo Vladimir Vukcevic. Un network che comprenderebbe alti funzionari pubblici, ufficiali dell’esercito e poliziotti. In una conferenza stampa, Vukcevic ha annunciato che è stata portata alla luce l’intera “rete” di persone che ha consentito la latitanza di Mladic, Zupljanin, Karadzic e Hadzic. Il procuratore non ha fatto i nomi dei sospettati, «perché le indagini sono in corso», ma ha rivelato che 13 persone sono sotto osservazione per aver aiutato i super latitanti. Tra esse un generale in pensione, che avrebbe passato informazioni riservate a Mladic durante la clandestinità. Mladic che sarebbe stato inoltre protetto da membri dell’esercito serbo fino al 2002 e poi avrebbe abitato fino al 2006 in 11 appartamenti “sicuri” a Belgrado prima di traslocare nel villaggio di Lazarevo, teatro del suo arresto nel 2011.
Vukcevic ha anche spiegato che Rade Bulatovic, l’ex capo dei servizi serbi ai tempi del governo Kostunica, sarà ascoltato dagli inquirenti anche se non ci sarebbero prove sufficienti per aprire un’inchiesta penale nei suoi confronti. «Lo convocheremo come semplice cittadino e gli chiederemo alcuni chiarimenti», ha promesso il procuratore. Poi, una chicca che farà discutere. Secondo Vukcevic, Hadzic – arrestato nel 2011 in Serbia -, sarebbe sfuggito alla giustizia nel 2004 anche grazie a una soffiata fatta da «una stretta collaboratrice molto conosciuta» dell’ex procuratore del Tpi, Carla Del Ponte. Le seppur parziali rivelazioni di Vukcevic e l’annuncio del coinvolgimento di alti funzionari nella latitanza dei criminali di guerra non hanno colto tutti impreparati, in Serbia. «Sarei sorpreso del contrario, di sapere che non hanno contribuito alla latitanza» dei vari Mladic e Karadzic «senza il diretto sostegno di parti dello Stato, tenendo anche conto che i fuggiaschi avevano documenti, emessi ufficialmente», spiega Zoran Dragisic, fra i massimi esperti serbi di questioni di sicurezza.
«Ora verranno accusati militari, agenti di polizia, funzionari di basso livello, ma penso che il sostegno a queste persone sia arrivato dal top dello Stato serbo e dell’ex Jugoslavia. Senza l’appoggio di funzionari e politici» quei membri dell’esercito e della polizia «non avrebbero potuto operare autonomamente. Dovevano avere un permesso dai vertici dello Stato», puntualizza. Se così fosse, qualcuno nelle alte sfere della politica serba, al potere prima della svolta europeista del 2008, potrebbe in questi giorni non dormire sonni tranquilli. «Sicuramente c’è chi ai vertici era coinvolto, ma non farei nomi perché spetta al tribunale scoprire chi è implicato», risponde Dragisic, che indica tuttavia il percorso che potrebbero seguire gli investigatori, indagando sul potenziale ruolo dei vertici del ministero dell’Interno e della Difesa. Ratko Mladic intanto non può che osservare da lontano gli sviluppi in Serbia e attendere la ripresa del processo a suo carico. Un processo che, dopo un primo rinvio un mese fa, era stato nuovamente sospeso lunedì dal Tpi a causa di gravissime negligenze da parte dell’accusa «nella consegna di documenti di prova» ai legali dell’ex generale. Il dibattimento, ha tuttavia annunciato ieri sera la Corte dell’Aja, riprenderà il prossimo 9 luglio.
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