Scrittori e pittori tutti pazzi per l’oltretomba

PARIGI. Ben prima che i tavolini ballassero a casa Malfenti, spingendo Zeno, il personaggio più famoso del canone triestino, a dichiararsi alla donna sbagliata, la moda di interrogare l’Oltretomba si era diffusa nell’Europa borghese con la velocità di un fulmine. A partire dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, seguendo la tecnica sperimentata dalle americane sorelle Fox, riunirsi in ansiosa attesa attorno a un tavolino, cercando di comunicare con gli spiriti fu una tra le più comuni pratiche di società.
Una chiamata a nozze per i caricaturisti: il poliedrico Daumier, in particolare, che sul giornale satirico Le Charivari pubblica nel 1853 una serie di incisioni dal titolo Fluidomanie, graffianti frecciate nei confronti dello “spiritismo” (così battezzato qualche anno dopo dallo studioso francese Allan Kardec, ovvero Hyppolite Rivail, prima di riconoscersi reincarnazione di un druido celtico). Nello stesso anno, sull’isola di Jersey, dove si era auto-esiliato per protesta contro il colpo di stato di Luigi Napoleone, imperatore di Francia dal dicembre 1852, anche Victor Hugo si lascia affascinare dalla mania spiritista. Per lui, ancora segnato dal dolore per la perdita della figlia Leopoldine, morta annegata nel 1843 a 19 anni, la possibilità di un colloquio con i morti è insieme sfida e speranza, come del resto per molti romantici, convinti assertore della spiritualità immanente del reale. Il medium di casa è Charles, il secondo dei figli del poeta, che lascerà una traccia di questa esperienza nella sua attività di fotografo, con immagini che, ritoccando il negativo, rende pittoresche ed evocative.
Il trionfo del positivismo non cancella il gusto di dialogare con il mondo degli spiriti: ai margini del territorio del razionalismo secondo-ottocentesco scrittori e artisti continuano ad interessarsi ai fenomeni medianici. Così, mentre disegni e scritture composti in stato di trance, manifestazioni di telepatia, stati ipnotici, telecinesi, ecc., sembrano spalancare nuove porte sul mistero, essi inaugurano nel tempo stesso inattese prospettive artistiche.
Di tutto questo, a partire da Hugo e Daumier, propone una breve ma suggestiva carrellata il Museo Victor Hugo di Parigi nella pittoresca Place des Vosges. In esposizione, fra l’altro, i disegni a penna e le opere medianiche del drammaturgo Victorien Sardou (l’autore di Tosca e di Fedora, per intenderci), che affermava di disegnare sotto la guida del nonno, trapassato su Giove e di Fernand Demoulins, pittore accademico che il rapporto con lo spiritismo trasforma in un artista dall’estro originale. Fino al surrealismo e a Breton, acceso sostenitore della potenza visionaria dell’irrazionale che sperimenta nuove forme d’espressione, anche sullo stimolo di André Masson, l’inventore del procedimento creativo del “disegno automatico”. Non senza che, in questo percorso lungo e tortuoso di colloqui con l’ombra, non sia intervenuta a dire la sua la nuova scienza dell’inconscio.
Sarà Thédore Flournoy dell’Università di Ginevra a studiare una delle medium più famose di fine ’800, Elise Müller dimostrando che le sue produzioni automatiche altro non erano che la risorgenza di ricordi dimenticati. Ma non per questo la sfida con il mistero cessa di essere quanto mai intrigante: l’ultima sala della mostra accoglie le fotografie delle materializzazioni di Marthe Beraud (alias Eva Carrière) che sollevano affascinanti ipotesi sul potere della psiche sulla materia, e alcune realizzazioni di Philippe Deloison, un artista contemporaneo che, riallacciandosi al surrealismo, scrive, disegna e fotografa sullo stimolo di pratiche medianiche. È ancora l’arte, insomma, a poter meglio tradurre in un lessico partecipabile ciò che di oscuro si agita oltre la soglia della coscienza e al di là dei confini della ragione.
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