«Sei anni buttati al vento e il rischio di creare solo altre cattedrali nel deserto»

l’intervento
Sono passati quasi sei anni dall’approvazione della norma che ha dato il via alla sdemanializzazione di Porto vecchio. Ovviamente nessuno all’epoca si illudeva che sarebbero bastati pochi mesi per vedere all’opera gru e cantieri replicando in poco tempo le grandi riqualificazioni viste ad Amburgo, Barcellona o Buenos Aires, ma quanto (non) accaduto nel frattempo e alcune recenti dichiarazioni ci mostrano il rischio concreto di buttare alle ortiche un’irripetibile opportunità per Trieste e la Regione.
In primo luogo è sotto gli occhi di tutti che manca ancora un’idea strategica sul futuro di quell’area. Dal luna park all’autodromo, dall’ovovia alla spa fino al fish market abbiamo letto negli anni gli annunci più disparati (rivelatisi per ora solo propaganda di giornata) che nulla hanno a che fare con le reali opportunità anche economiche di quello spazio. Porto vecchio ha le carte in regola per diventare una “calamita” di investimenti, attività e talenti. Economia del mare, turismo, commercio di alta gamma e di eccellenze a “chilometro zero”, spazi culturali, residenzialità sono opportunità reali ma solo a patto che vengano inserite armonicamente in un progetto complessivo ben diverso dallo “spezzatino”teorizzato in questi anni.
Serve, allora, dotarsi di strumenti operativi. Primo fra tutti quella società di gestione capace di una regia complessiva e di un’operatività rapida ed incisiva necessaria anche per interfacciarsi al meglio con possibili investitori privati. Con il sindaco Dipiazza eravamo arrivati ad un passo dalla sua realizzazione già tre anni fa, ma poi imbarazzi elettorali e veti degli alleati hanno, come è evidente, bloccato tutto.
Un secondo aspetto riguarda proprio l’interesse di realtà finanziarie ed imprenditoriali importanti. Anche a me è capitato di incontrane molte in questi anni ma le ho viste quasi sempre andare altrove, e se finora non si è concretizzato nulla è perché chi ha risorse da investire chiede regole e tempi certi, interlocutori capaci di muoversi sul mercato internazionale e un progetto organico.
Se, come ci è stato ricordato anche in questi giorni ci sono decine di manifestazione d’interesse, perché in sei anni non se n’è concretizzata neppure una? Di certo non è incoraggiante per chi voglia fare un investimento scoprire, ad esempio, che negli ultimi anni diverse cordate importanti non hanno avuto la possibilità di veder valutati seriamente i loro progetti per riqualificare i magazzini Greensisam, ora oggetto di trattativa con la Regione per realizzare l’ennesimo spostamento di uffici e personale a spese del bilancio pubblico.
Una cosa dovrebbe essere chiara a tutti (ma non, evidentemente, a chi governa oggi dai palazzi di piazza Unità): Porto vecchio “funzionerà” solo nella misura in cui diventerà un attrattore di nuove attività e nuove opportunità.
Quell’area, a detta degli esperti, potrebbe portare sul nostro territorio investimenti fino a tre miliardi di euro. Ma se ci si limitasse a spostare in riva al mare qualche ufficio pubblico, qualche dipartimento universitario o qualche migliaio di triestini “traslocati” da altri rioni, si tratterebbe di un errore mortale che impedirebbe di fare spazio a quelle “energie fresche” di il territorio ha bisogno, creando solo l’ennesima cattedrale nel deserto.
Se invece sapremo farne l’embrione di una nuova smart city, un’area urbanisticamente innovativa, che sia ricca di tecnologie avanzate, a emissioni zero e mobilità sostenibile da città del Nord Europa avremo finalmente vinto la sfida di mettere a frutto quella “miniera di futuro” che per troppi anni è rimasta colpevolmente ignorata. —
*Pd e vicepresidentedel Consiglio regionale
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