Semerani: «È difficile rilanciare Porto vecchio senza gli architetti»

L’intervista al decano dei professionisti triestini: «Manca un ragionamento su come combinare vincoli e necessarie trasformazioni. E si è perso del tempo»
Lasorte Trieste 10/03/21 - Arch. Luciano Semerani
Lasorte Trieste 10/03/21 - Arch. Luciano Semerani



«Realizzare un’idea urbanistica richiede professionalità, lavoro di gruppo e soprattutto esperienza». L’architetto Luciano Semerani, un volto internazionale di Trieste, risponde al sindaco Roberto Dipiazza, che nei giorni scorsi aveva reagito alle sue critiche su Porto vecchio dicendo «uno mi dà del bottegaio e poi dietro a piazza Unità costruisce un archivio cartaceo? ».

Professore, come risponde al sindaco?

«La scelta di localizzare un archivio ed una sala di lettura in prossimità degli Uffici Comunali non è mia ma del Comune, ed è maturata nel quadro del recupero, con finanziamento del Ministero dei Beni Culturali, di alcuni contenitori di pubblica proprietà caduti in rovina. Il Comune ha affidato a Gigetta Tamaro il progetto e io non c’entro assolutamente, né per la localizzazione né per l’opera, che considero di altissima qualità. Il disprezzo per “l’archivistica cartecea” da mettere in periferia può averlo solo chi non ha mai fatto studi e ricerche che necessitano di una documentazione storica accessibile quotidianamente».

Lei ha criticato il Comune per Porto vecchio.

«Penso che manchi all’oggi, anche per uno solo dei tanti edifici, l’individuazione di tecniche di intervento che mostrino, nel caso specifico di questo tipo di costruzioni portuali, la compatibilità tra il vincolo conservativo e le necessarie radicali trasformazioni edilizie ed urbane. Questo non significa che il recupero non sia possibile ma il molto tempo trascorso dalla sdemanializzazione ad oggi senza sperimentare delle alternative e senza scegliere dei progetti e dei progettisti non consente l’ottimismo».

Ma questi professionisti sono indispensabili?

«Chi non ha mai avuto un mestiere pensa che l’esperienza professionale sia sostituibile col buon senso e che il ruolo catalizzatore che gli atelier di Renzo Piano, Massimiliano Fuksas, Zaha Hadid, Frank O. Gehry, Tadao Ando, Daniel Liebeskind hanno avuto, nella realizzazione di grandi trasformazioni urbane a Genova, a Milano, a Londra eccetera, la città di Trieste non può permetterselo per questioni di bilancio. Pure tecnici a portata di mano sono stati ignorati».

Ad esempio?

«L’architetto Casamonti che ha rimesso in vita il Magazzino Vini poteva benissimo essere richiamato visto il successo del suo lavoro e non è una “star”».

Come organizzarsi dunque?

«La realizzazione di un’idea urbanistica richiede professionalità, lavoro di gruppo, e soprattutto esperienza. L’organizzazione non differisce molto da quella che i Centri Studi hanno nel mondo della finanza o in quello industriale. La recente vicenda fallimentare dell’ampliamento dell’Ospedale di Cattinara, ha ben mostrato come spesso i programmi di sviluppo dell’Università e della Sanità siano stati affrontati senza una base tecnica di conoscenze aggiornate, in altre parole senza alcun programma degno di tal nome».

Trieste può rilanciarsi?

«La saggezza delle scelte urbanistiche del lontano passato ha fatto sì che Trieste può presentarsi ancora col singolare volto di una città-porto neoclassica. Ma altro non viene offerto al viaggiatore se non l’architettura del passato e a volte una buona ristorazione».

In che senso?

«Piccoli e forse troppi i festival cinematografici, solo di scala comunale gli incontri culturali d’élite. Invece, anche nell’ottica di una regione storicamente e linguisticamente divisa, c’è un incoraggiamento clientelare al dilettantismo, al nazionalismo, con la contemporanea cancellazione di istituzioni “imperiali” a suo tempo importanti come la Biblioteca Civica, Il Museo di Storia Naturale, l’Aquario. Niente mostre di qualità al Salone degli Incanti, niente spettacoli al Castello di San Giusto, la collezione de Enriquez parzialmente esposta in una sede inaccessibile, il Museo del Mare ed una serie infinita di piccole raccolte dilettantesche strettamente legate alla storia locale mai reinserite in un progetto culturale complessivo. I due Musei culturalmente attivi (Revoltella e Schmidt) ed i due Teatri (Verdi e Rossetti) non più in grado di svolgere un richiamo culturale di proporzioni nazionali».

Cosa servirebbe quindi?

«A Trieste manca quello che in ogni città europea di richiamo turistico c’è: una Fiera specializzata, una Sede Espositiva, un Centro Congressi ed un Teatro attrezzati con quelle risorse tecnologiche oggi disponibili e necessarie, disegnati con quella competenza che rende la costruzione un richiamo, ancor più del singolo evento. E non ultimo uno staff professionalmente formato ed un’idea-guida precisa».

Dove trovarlo?

«Non mancano le giovani e vecchie competenze, ma valgono a Trieste più che altrove due vecchi adagi: “Nemo profeta in patria” e “Non disturbare il manovratore”».

Insomma, vede tutto nero?

«Tra i politici, tanto al governo nazionale quanto in quello regionale, alcune voci responsabili si sono recentemente alzate, proprio avanzando l’esigenza di una programmazione per il futuro di Trieste, ormai sempre più indifferibile dopo la crisi della pandemia. È un buon segno. È un impegno che, spero, ci riguarderà tutti». —

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