«Senza un’istruzione di livello il Paese rischia grosso»

Scelte fatte senza criteri precisi. Il sistema universitario nazionale è sfuggito dalle mani di mamma Italia che ora rischia grosso, nonostante voglia comunque giocare un ruolo importante. Una...

Scelte fatte senza criteri precisi. Il sistema universitario nazionale è sfuggito dalle mani di mamma Italia che ora rischia grosso, nonostante voglia comunque giocare un ruolo importante. Una diagnosi nuda e cruda che Walter Gerbino, per molti anni preside dell'ex facoltà di Psicologia, in pensione dal 31 dicembre scorso, ha potuto esternare grazie alla sua esperienza. «Ho conosciuto un'università completamente diversa - commenta -, basata su altri presupposti. Esistevano gli istituti mono-cattedra intorno a un singolo docente di ruolo, dove si aggregava normalmente un piccolo gruppo che dava impulso a una certa disciplina. Le cose si sono molto modificate nel tempo, una conseguenza è anche l'università diventata di massa e il fatto che le esigenze formative si sono modificate. Però questa crescita in Italia è stata un po' disordinata e non sostenibile, a un certo punto si è capito che il sistema non poteva stare in piedi. Abbiamo messo su un numero sovrabbondante di università con troppi obiettivi formativi, non c'era il personale docente sufficiente per sostenere tutto questo sistema. Poi c'è stato un periodo, che dura tutt'ora, di lunga e penosa contrazione. Nonostante le esigenze di avere più laureati e una ricerca di punta, che dovrebbe essere prioritaria per un Paese come l'Italia - aggiunge Gerbino -, in questo momento stiamo davvero rischiando grosso, cioè di non avere un'istituzione adeguata al ruolo che il paese vuole giocare. I motivi di preoccupazione sono molti e molto giustificati».

Ed è così che si arrivati a oggi, dove tanti posti restano vuoti e non ci sono gli adeguati rimpiazzamenti. Una scelta però questa che non nasce da una visione precisa, ma un semplice obiettivo generale: quello del contenimento della spesa, che ha puntato, secondo Gerbino, solo sulla riduzione dell'organico dal 2008 a oggi. Questo anche perché «l’università veniva vista con un atteggiamento denigratorio - rileva -, come un luogo di sprechi, quindi questa valutazione negativa è servita a giustificare i tagli drastici. Non so se l'atteggiamento è cambiato, perché da molto tempo non riesco a vedere iniziative a sostegno dell'università che siano costruttive e i margini di manovra di un ateneo adesso solo molto ridotti, perché i vincoli sono potentissimi, quindi è molto difficile elaborare per un ateneo una politica di rilancio». E le conseguenze sono drastiche: muoiono corsi di laurea e aree di ricerca. «L'università è fatta di persone - sottolinea l’ ex preside di Psicologia - e in assenza di queste ci sono dei limiti alla riorganizzazione». (b.m.)

Riproduzione riservata © Il Piccolo