Si chiamava Solvay la sorellina del Crda

Alle 17.19 di sabato 15 ottobre 1969 chiudeva lo storico stabilimento Solvay, che dal 1928, nel sito di via Timavo aveva prodotto migliaia di tonnellate di soda caustica. Nella città dei cantieri, la Solvay è stata un po' sorellina e un po' rivale dello stabilimento di Panzano. Quasi sempre, sul finire degli anni Sessanta, Crda e Solvay si incontravano nella finale dei tornei aziendali di calcio: belle sfide, paradigmatiche del legame tra maestranze e fabbrica.
Dell'epopea della Solvay scrive molto bene Anna Maria Sanguineti nel suo nuovo libro “Solvay, una sodiera a Monfalcone 1911-1969”. Lavoro bellissimo quello di Sanguineti, abile a tessere il filo che cuce gli aspetti storici, scientifici e sociali della storia della Solvay. Pronunciato alla bisiaca, il nome evoca quella Monfalcone semplice e genuina che non c'è più. Come quando, ricorda Sanguineti, per indicare un determinato punto nei pressi del porto si diceva “andare all'Adria”. Si trattava della trasformazione artificiosa in toponimo del nome dell'originaria fabbrica chimica, l'austriaca Adriawerke, impiantata al Lisert nel 1911 e che poi, distrutta durante la Prima guerra mondiale, passerà il testimone, appunto, all'italianissima Adria e da questa alla Solvay. Dal nome del suo inventore, Ernest Solvay, che sul finire dell'Ottocento, nel natìo Belgio, tanto fece e tanto sperimentò fino a trovare la formula magica per produrre quella miracolosa sostanza che avrebbe reso felici milioni di massaie nella pulizia di casalinghi e di biancheria. Sanguineti nella prima parte del libro spiega con molta efficacia la parte scientifica, partendo da luoghi molto lontani: gli argini del Nilo. Poi ci porta in Belgio a conoscere la famiglia di industriali Solvay. Ed eccola pagina dopo pagina sorvolare una Monfalcone irriconoscibile nelle vecchie foto. La parte del libro che più ci tocca è quella relativa all’aspetto sociale che Solvay coltivò a favore delle proprie maestranze. A cominciare dall’albergo per impiegati celibi di fronte all’ingresso dell’azienda, e la casa per gli operai celibi in via Romana. Si tratta dell’ex casa di riposo, da anni convertita in poliambulatorio al primo piano e in sede del Csm al secondo. Ma è la Colonìa, questo speciale microcosmo tutto monfalconese, ad essere sviscerata nel dettaglio della sua genesi. La Colonìa è un quartiere di case popolari circondato da un muro di recinzione. Muro, che nella società odierna costretta a fare i conti con i problemi dell’integrazione e della sicurezza, rischia di assumere sinistri significati. Ma il libro di Sanguineti, descrivendone le origini, toglie fondamenta a questa interpretazione. Fiore all’occhiello degli insediamenti Solvay le ville per dirigenti (oggi pressoché invisibili nella zona portuale) e lo splendido dopolavoro, circondato da un muro (e ci risiamo) in una vecchia fotografia. Ancora, nel volume, la parte dedicata agli scioperi che accompagnarono la chiusura dello stabilimento. Ma finché ci saranno appassionati di storia monfalconese come Anna Maria Sanguineti nessuna pagina sarà mai del tutto archiviata.
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