Si finge gay per ricattarlo Ma l’altro lo denuncia

Offriva a uomini incontri hard, poi li costringeva a pagare minacciandoli di smascherarli. Una vittima si è rivolta alla polizia postale: padovano nei guai

di Corrado Barbacini

La vittima della tentata estorsione è un padre di famiglia triestino che aveva contattato un numero di cellulare per partecipare a un incontro hard tra soli uomini. Il numero lo aveva trovato su un sito porno navigando in internet. Voleva un appuntamento riservato. Alla telefonata ha risposto un gigolò. Che però, anziché fissare un appuntamento a Padova come era previsto nell’offerta “riservata e personale”, dopo avergli carpito delle informazioni ha minacciato di raccontare in giro il vizietto dell’insospettabile padre di famiglia triestino. A meno di non ricevere in cambio del silenzio una congrua somma di denaro.

La potenziale vittima però non ha ceduto al ricatto: invece che comprare il silenzio del malvivente, l’uomo è andato alla polizia postale di Trieste dove ha raccontato la sua imbarazzante avventura personale.

Alla fine il gigolò è stato identificato dai poliziotti. Si è scoperto che il suo era solo un trucco: l’uomo si spacciava per gay pronto a vendere la proprie prestazioni sessuali. Ma il suo era solo un modo per trovare soldi. Al telefono parlava e prometteva sesso, ma soprattutto richiedeva informazioni personali. Così nei guai è finito un trentenne padovano che del ricatto hard aveva fatto la propria attività. Dopo avere carpito informazioni personali agli interlocutori-potenziali clienti, l’uomo anziché concretizzare l’incontro ricontattava - proprio come è accaduto al triestino - le sue vittime e minacciava di divulgarne le abitudini sessuali tra amici e familiari, senza trascurare l’ambiente di lavoro. Un’attività che ogni volta gli fruttava dagli 800 ai mille euro. Soldi che le vittime, secondo le sue precise istruzioni, dovevano versare su una carta prepagata postepay. Le indagini della Squadra mobile di Padova e della postale di Trieste, coordinate dal pm di Padova Sergio Dini, sono scattate dopo la denuncia del triestino. In poco tempo il lavoro investigativo degli agenti ha evidenziato come molti omosessuali “nascosti” avessero preferito comprare quel silenzio piuttosto che rischiare di vedere rovinata la propria esistenza. Ma poi il signore triestino ha avuto il coraggio di denunciare, superando l’imbarazzo di raccontare la vicenda a un poliziotto. Agli agenti della postale ha fornito, come indizio, un numero di cellulare. Il numero corrispondeva a un’utenza intestata al trentenne padovano. Il quale, messo alle strette dagli investigatori, ha ammesso di essere il finto gay. E ha confermato che il suo era solo un modo per spillare denaro a uomini in cerca di incontri particolari.

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