Sparò alla moglie: guardia giurata rischia l’ergastolo

«Mia moglie è già morta. Gliela voglio far pagare. Sarò io il padre e la madre di mio figlio». Maurizio Stanovich, 44 anni, la guardia giurata dello stabilimento Fincantieri di Panzano accusata di aver ucciso a pistolettate la moglie Victoria Fourmanova, aveva pronunciato queste terribili parole la sera del 15 novembre 2006. Ventiquattro ore più tardi, il 16 novembre, si era appostato al valico di Fernetti, aveva atteso che la moglie uscisse dall’ufficio in cui lavorava e le aveva scaricato addosso due caricatori della sua Berretta.
«Mia moglie è già morta. Gliela voglio far pagare». Queste terribili parole la guardia giurata le aveva pronunciate chiacchierando con un amico, Normanno Tommasi. Nel corso dell’inchiesta sull’omicidio, il testimone le ha riferite al pm Maddalerna Chergia. Per Maurizio Stanovich, rinchiuso da novembre in una cella del carcere del Coroneo, lo stesso pm ha chiesto il rinvio a giudizio per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dall’aver agito per motivi abbietti e futili, con crudeltà verso la vittima e ai danni del coniuge. Quattro aggravanti ognuna delle quali virtualmente potrebbe portarlo dritto all’ergastolo.

L’udienza preliminare è stata fissata per il 3 luglio davanti al presidente del gip Raffaele Morvay e in quella sede i difensori di Stanovich, gli avvocati Mariarosa Platania e Alealdo Ginaldi di Monfalcone, dovranno aver già scelto il rito con cui far processare l’ex guardia giurata che per anni è stata in servizio allo stabilimento della Fincantieri. Rito abbreviato o Corte d’assise. Una di queste due strade dovrà essere necessariamente prescelta.

Il 3 luglio sarà presente nell’aula del Gip e si costituirà parte civile l’avvocato Luca Maria Ferrucci cui la famiglia di Victoria Fourmanova ha affidato la tutela dei propri interessi morali e materiali: primi fra tutti quelli del bambino di sette anni reso orfano dal proprio padre. Poi la madre dell’uccisa che vive nel rione di san Giacomo e il fratello, da tempo rientrato in Russia. L’inchiesta ha fatto emergere una serie di circostanze terribili che i magistrati non potranno non valutare. Secondo al ricostruzione della Procura Maurizio Stanovich non solo ha ferito mortalmente la moglie da cui viveva separato, ma ha continuato a spararle addosso anche quando era già a terra e stava agonizzando.

Ecco come gli investigatori hanno ricostruito la scena. «Dopo aver controllato che sul posto non vi fossero testimoni, Stanovich ha estratto dall’arma il primo caricatore vuoto, vi ha inserito il secondo caricatore e ha esploso contro la moglie, a terra ma ancora viva, ulteriori sei colpi: uno al cuore, uno a ciascun polmone, due al fegato e uno alla base del collo». Una esecuzione fredda, assimilabile per determinazione a quelle dei killer professionisti. Va però aggiunto che subito dopo aver ucciso Maurizio Stanovich non era scappato. Dopo aver deposto la «Berretta» sul sedile della Fiat 600 della moglie posteggiata a pochi metri dal distributore di carburanti dell’autoporto e aveva telefonato al 112 chiedendo l’intervento di un’ambulanza a Fernetti. Poi aveva atteso l’arrivo dei carabinieri.
Nel corso degli interrogatori l’indagato non ha spiegato le ragioni del suo gesto estremo. Ricorda di aver atteso che la moglie uscisse dall’ufficio, ma non sa dire nulla della sparatoria.

La sua memoria sembra rifiutarsi di rivisitare il momento culminante dell’agguato e dell’esplosione dei colpi. Gli è invece chiaro il fatto di aver telefonato al 112 e di aver atteso l’arrivo dei carabinieri. Su questo blackout della coscienza dell’ex guardia giurata vuole fare chiarezza attraverso una perizia psichiatrica il difensore, l’avvocato Alealdo Ginaldi. La richiesta sarà inoltrata in udienza e rappresenta una delle poche carte in mano alla difesa. La prima linea difensiva si è infatti rivelata un boomerang almeno a livello di opinione pubblica. Era stata infatti avanzata fin dalle prime battute dell’indagine la richiesta di sottoporre ad analisi tossicologica il corpo della vittima. Il pm Maddalena Chergia aveva detto «sì» alla richiesta dell’avvocato Ginaldi e il dottor Gabriele Furlan in questi mesi ha lavorato a lungo nella ricerca autorizzata dalla Procura. Dal suo lavoro è emerso con estrema chiarezza che Victoria Fourmanova nelle ultime ore di vita aveva bevuto due caffè. Null’altro. Un dato insignificante e difficilmente spendibile per la difesa.

Ben diverso sarebbe stato invece l’impatto emozionale innescato dal rinvenimento nel sangue e nelle urine della vittima di altre sostanze: alcool o peggio qualcosa di proibito.Sulla premeditazione dell’omicidio pochi sono i dubbi e molte le certezze. Oltre alle agghiaccanti parole riferite dal testimone, a Maurizio Stanovich viene contestato di aver portato a casa la pistola d’ordinanza, utilizzata nello stabilimento Fincantieri di Monfalcone dove lavorava come vigilante. Di aver riferito a Edoardo Iurincich, padre di un amichetto del figlio, di «avere un impegno per quel pomeriggio». Inoltre il pomeriggio del 16 novembre aveva affidato il figlio ai propri genitori, mentre avrebbe dovuto riconsegnarlo alla madre di Victoria Fourmanova.

Riproduzione riservata © Il Piccolo