Spazi a misura di bebè prematuri Al Burlo sbarca la “family room”

Letti, poltrone e incubatrici ad hoc all’interno del reparto di Neonatologia dell’Irccs per consentire alle famiglie di trovare equilibri e risposte prima del ritorno a casa



Quando un bambino nato prematuro raggiunge il peso necessario per essere dimesso, i genitori, al di là della contentezza, possono provare un certo smarrimento. «Una volta a casa, può esserci la paura di rimanere soli e di spegnere la luce, cosa che in ospedale non avviene mai del tutto - spiega Francesco Maria Risso, 42 anni, da agosto dello scorso anno direttore della Uoc Neonatologia e Terapia intensiva neonatale dell’Irccs materno infantile Burlo Garofolo di Trieste -. Per questo motivo, assieme alla direzione, ai colleghi, alla caposala e agli infermieri, ci siamo chiesti: e se dessimo loro la possibilità di dormire qui una, due o tre notti e quindi di spegnere la luce sapendo che, se si apre la porta, ci siamo noi?».

Così, da ottobre scorso, anche l’ospedale infantile della città si è dotato di una “family room”, una stanza allestita proprio per ospitare i neonati prematuri assieme alle loro famiglie, in modo da creare un ambiente favorevole al benessere dell’intero nucleo. La camera, che si trova all’interno del reparto di Neonatologia e Terapia Intensiva, è dotata di letti, poltrone, armadi e di alcune incubatrici. Può ospitare, al momento, due piccoli pazienti. «La nostra volontà è anche quella di aiutare mamma e papà - continua il direttore -. Non a caso il nostro logo è rappresentato dalle tre mani: bimbo, mamma e papà. Proprio il ruolo dei padri viene spesso sottovalutato mentre la depressione può colpire anche loro (dall’8,4 al 10 per cento, ndr), in particolare nei casi di figli pretermine». La presenza costante della coppia genitoriale può quindi favorire un clima di fiducia e di sicurezza, decisivo nelle situazioni a rischio.

Ma il miglioramento non investe solo la sfera emotiva: la letteratura pediatrica è ricca di numerose prove che attestano la validità medica della “family room”. «Se guardiamo alla scienza, è dimostrato che i bambini assistiti in questo modo hanno degli outcom (esiti, ndr.) cerebrali migliori», osserva Risso.

La “family room” è già attiva da tempo in altre parti d’Italia e d’Europa. «Non è stata certo una nostra idea originale - puntualizza il medico -, voglio ringraziare il personale medico infermieristico e ausiliario, di grande professionalità e di grande umanità. E anche la Onlus Scricciolo, una rete di sostegno preziosa per la vita del reparto».

I benefici della “family room” investono anche il fronte economico. «L’aspetto umano è fondamentale e primario, ma un bimbo più sano è anche un costo inferiore per il sistema sanitario».

Tuttavia, la nuova stanza potrebbe essere migliorata, seguendo alcuni standard consolidati. «Mancherebbero alcuni mobili e un bagno interno. Così va bene per chi non ha bisogno di una terapia intensiva. Si potrebbe arrivare anche a uno o due posti letto per intensivi, ma ci vorrebbe un’infermiera dedicata. E poi bisogna fare i conti con lo spazio».

Finora le famiglie ospitate e supportate sono state una decina, alcune con piccoli pazienti che riportavano anche problematiche chirurgiche o del sistema metabolico; i feedback da parte dei genitori sono stati positivi. «Ogni bambino ha una storia da raccontare - commenta Risso -. Si va dal piccolino di 700 grammi messo in braccio alla mamma al terzo giorno di vita ai due gemellini nati sotto il chilo che ora sono a casa e godono di ottima salute. Non sei bravo se li fai sopravvivere, sei bravo se li fai sopravvivere senza problemi maggiori».

Purtroppo, raramente, c’è anche chi non ce la fa, come accaduto di recente a una bambina. E, pur nel dramma, uno spazio più riservato e intimo come la family room ha avuto un ruolo importante. Invece di attendere in piedi o fuori dalla porta, i genitori hanno potuto assistere la figlia da vicino, dormire accanto a lei e vegliarla anche negli ultimi attimi, finché il battito del piccolo cuore ha rallentato inesorabilmente. «Non siamo “settati” per la morte di un figlio - osserva il medico- ma, anche in casi come questo, cerchiamo di offrire un posto che si prenda cura della famiglia e che possa farla sentire accolta. I genitori della piccola sono tornati per ringraziarci. Per me e i per i miei collaboratori questo ha significato moltissimo. Certo - conclude il direttore della Neonatologia del Burlo -, hai perso come medico, ma non come persona». —





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