Sposò per 100 euro la prostituta per farla rimanere in Italia

Un 59enne goriziano è finito a processo con tre sudamericane e un altro italiano Aveva intestato a sé il contratto di affitto della casa dove esercitavano le donne

Stefano Bizzi

Si va verso una serie di assoluzioni per prescrizione. Al più, per uno dei protagonisti di una vecchia vicenda legata al mondo della prostituzione, iniziata nel settembre del 2009 e che ha portato a processo due domenicane e una colombiana oltre a due italiani, ci sarà, forse, una condanna.

La sentenza era attesa ieri pomeriggio, ma con il cambio del collegio giudicante, l’udienza è stata rinviata al 16 luglio e con essa è stata rinviata anche la sentenza.

Secondo l’accusa, sostenuta dal pm Paolo Ancora, le domenicane Ana Celia Zapata De Leon (53 anni), Lisset Nero Tejeda (31) e la colombiana Ana Yanci Tigreros (58), esercitavano in città attività di meretricio con il coinvolgimento più o meno compiacente del leccese Francesco Quintino Marzo (68) e del goriziano Paolo Beltram (59). Le accuse spaziano dallo sfruttamento della prostituzione al falso, passando per la violazione delle norme sull’immigrazione. A difendere gli imputati sono, rispettivamente, gli avvocati Andrea Aluisi, Monica Susic, Raffaele Mauri, Franco Piceni e Marco Mizzon.

Beltram, in qualche modo, può essere considerato anche una vittima degli altri protagonisti dal momento che, a fronte di un compenso di soli 100 euro, nel febbraio del 2012 era stato indotto ad accettare il matrimonio con la più giovane delle tre donne allo scopo di favorirne la permanenza in Italia. Prima ancora, Beltram, in cambio di rapporti sessuali gratuiti, aveva stipulato a proprio nome il contratto d’affitto dell’appartamento di via Rastello 93 dove Ana Celja Zapata De Leon riceveva i propri clienti. Alla proprietaria aveva corrisposto le prime due mensilità e aveva garantito i successivi canoni con fideiussione bancaria. Beltran e la donna sono stati inoltre chiamati a rispondere in concorso per falsa autocertificazione in quanto, per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, lei aveva dichiarato d’essere la badante della madre dell’uomo e lui aveva detto d’essere il suo datore di lavoro. Ma non era così.

La vicenda era venuta alla luce perché il via vai di uomini dall’appartamento di via Rastello aveva fatto insospettire una delle inquiline dello stabile che, stanca di quella situazione, si era rivolta alla polizia. La segnalazione aveva dato il via alle indagini. Il personale della Squadra mobile della Questura aveva quindi iniziato a tenere d’occhio il flusso di clienti, fotografando chi entrava e chi usciva. Nel corso del processo sono stati ascoltati numerosi testimoni e non sono mancati i momenti di imbarazzo tra i clienti, chiamati a raccontare cosa accadeva all’interno della casa. —

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