Strage di piazza Fontana. Pista triestina per Calabresi

TRIESTE Tre giorni prima di essere assassinato il commissario di polizia Luigi Calabresi venne a Trieste. Una delle ultime sequenze del film di Marco Tullio Giordana, “Romanzo di una strage”, in programmazione in tutta Italia da venerdì scorso, lo ritrae a colloquio con un ufficiale dei carabinieri nella caserma di San Martino del Carso. Poi sull’altipiano dove una ruspa (ma non è avvenuto proprio così) ha scoperto un deposito di armi e di esplosivo “non convenzionale”. Siamo ad Aurisina in provincia di Trieste, ma ancor più che geograficamente il sito è importante perché siamo al “punto di svolta” nella comprensione delle trame occulte della storia d’Italia.
Era il Nasco 203, uno dei depositi creati per Gladio, il segmento italiano della Stay behind, ma era stato manomesso e utilizzato da formazioni ancora più occulte, presumibilmente i Nuclei difesa dello Stato e ad esso avevano accesso neofascisti italiani e ustascia croati protetti da ufficiali golpisti, servizi deviati e in ultimi analisi forse dallo stesso Ufficio affari riservati del Ministero dell’Interno. Proprio plastico jugoslavo fu quello usato sia nella strage di piazza Fontana che in quella di piazza della Loggia a Brescia. «Mio padre tornò turbato da quella visita - ha raccontato recentemente il figlio di Calabresi, Mario, oggi direttore della Stampa - e raccontò a mia madre di aver veduto depositi di armi accantonati in grotte o cave. Il viaggio era stato organizzato dai carabinieri e avevano utilizzato anche un elicottero. Mio padre disse di essere preoccupato che quelle armi potessero essere legate a ambienti di destra».
A Trieste Calabresi arriva accompagnato da Giuseppe Caron, senatore Dc, e dallo stesso questore di Milano, Marcello Guida che qui era vissuto in precedenza per alcuni anni. Secondo la fonte dei servizi “Dario”, a Trieste i tre conferiscono con il Conte Pietro Loredan detto il Conte rosso, ex partigiano infiltrato nell’Anpi e nel Pci perché in realtà fascista e segretamente legato a Ordine nuovo. Il commissario avrebbe scoperto un traffico di armi che partendo dai circoli neonazisti di Monaco di Baviera (ma il film lo ritrae anche in una “missione” a Basilea) è diretto ai fascisti italiani e agli ustascia croati passando per centri di smistamento nella zona di Trieste. Secondo lo stesso informatore su quel traffico avrebbe già indagato l’editore Giangiacomo Feltrinelli entrato in clandestinità nella lotta armata. Feltrinelli che pure ipotizzava e anche praticava metodi estremisti e violenti per realizzare la rivoluzione comunista era stato il primo a parlare di stragi di Stato e strategia della tensione.
Calabresi, rimasto choccato, come appare nel film, dalla morte di Feltrinelli avvenuta mentre stava collocando un ordigno a un traliccio dell’alta tensione a Segrate, avrebbe nutrito anche dei dubbi sull’autenticità di questa versione dei fatti, ma proprio seguendo le sue convinzioni sarebbe giunto alla soglia della verità. Il Vitezit 30 di fabbricazione jugoslava viene conservato in contenitori come quelli trovati nella soffitta di Castelfranco Veneto di proprietà di Giancarlo Marchesin, un socialista che disse di averli ricevuti in consegna dal suo amico Giovanni Ventura. Nell’ottobre 2009 la Cassazione ha riconosciuto la responsabilità nella strage di piazza Fontana di Giovanni Ventura e Franco Freda come capi di una struttura eversiva costituita a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo, ma li ha dichiarati non processabili in quanto già assolti precedentemente in via definitiva.
Il film accoglie in qualche modo la tesi del giornalista Paolo Cucchiarelli: a Milano sarebbero state due le bombe: una, di debole efficacia, che gli anarchici vollero piazzare a scopo dimostrativo e l’altra collocata da estremisti di destra per fare la strage e addossarne la colpa alla sinistra. Una tesi che non trova conferme definitive. Certo è che Calabresi viene ammazzato da Lotta Continua dopo una violenta campagna diffamatoria a causa della morte di Giuseppe Pinelli, senza che lo Stato sia intervenuto in alcun modo non a proteggerlo, ma nemmeno a difenderlo. Anzi, un’informativa dei servizi rivelava il pericolo che lui stesso riferisse cose compromettenti per il suo stesso ambiente di lavoro. Calabresi in sostanza stava meglio morto sia alla destra golpista che ai comunisti armati. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo