Studenti UniTs a Bruxelles per tutelare i rifugiati

Spedizione di una trentina di ragazzi al Parlamento Europeo dove hanno avuto la possibilità di intervenire e confrontarsi sul tema dei migranti

Spedizione a Bruxelles la settimana scorsa per una trentina di studenti dei corsi di Giurisprudenza e di Traduzione specialistica e interpretazione di conferenza dell’Università di Trieste. Accompagnati dai docenti Stefano Amadeo e Fabio Spitaleri e dalla ricercatrice Alessia Voinich, della cattedra di Diritto dell’Unione Europea del Dipartimento Iuslit, i ragazzi hanno avuto la possibilità di vivere un’esperienza unica, che per la maggior parte delle persone non si presenta nel corso di una vita intera. Insieme a colleghi belgi, ungheresi e di altre nazionalità, hanno partecipato come unici rappresentanti italiani all’European Youth Seminar 2018, dedicato al delicato tema “Migration, Free Movement and Refugees: when dreams face death by drowing” e organizzato dal Parlamento Europeo nella sua sede di Bruxelles. In un breve viaggio di due giorni studentesse e studenti dell’ateneo triestino hanno potuto visitare il Parlamento Europeo, apprenderne il funzionamento e soprattutto far sentire la propria voce su una delle più grosse sfide che l’Ue si trova oggi ad affrontare. Chiamati ad agire come ispiratori delle future riforme del Parlamento europeo in materia di immigrazione, i giovani partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi, cui è stato chiesto di formulare proposte concrete in tema di libera circolazione, di asilo e di politiche dell’immigrazione. All’interno dei singoli gruppi si sono confrontati tra loro e hanno testato sulla propria pelle le diversità di opinione date dalla diversa cultura e formazione. «E’ stata un’esperienza elettrizzante, che mi ha aiutato a comprendere molto meglio il funzionamento delle istituzioni europee - racconta Giorgia De Zen, laureanda in Interpretazione di conferenza -. E’ importante che i giovani europei vengano ascoltati dalle istituzioni anche su grandi temi, come quello delle migrazioni, la cui soluzione è complessa e non a portata di mano. Grazie a questa iniziativa ho capito quanto è difficile trovare un punto in comune e raggiungere soluzioni condivise: siamo ancora in 28 stati membri all’interno dell’Ue e questa è stata la prova tangibile di quanto sia complicato trovare un compromesso tra i diversi interessi dei Paesi dell’Unione». Ai ragazzi sono state poste tre domande, poi discusse nei relativi tavoli tematici: Come migliorare i programmi di mobilità, come l’Erasmus? Vanno imposti nuovi limiti all’accoglienza dei richiedenti asilo? A livello di Unione è necessario un modello comune di politica dell’immigrazione? Le risposte hanno confermato il forte valore dato dagli studenti al programma Erasmus per la costruzione delle nuove generazioni di cittadini europei, tanto che è stato suggerito di aumentare i fondi dedicati al programma. Gli studenti hanno inoltre proposto di creare un sistema comune che gestisca direttamente – con funzionari dell’Unione o con funzionari nazionali formati dall’Unione – le richieste d’asilo, in modo da uniformare i tempi di risposta e rendere omogenee le garanzie in favore dei migranti. Solo una gestione comune, è stato detto, consente di affrontare un problema di scala sovranazionale. Infine dal seminario è emersa l’idea di finanziamenti diretti dell’Unione in favore dei Comuni.

Il livello locale è stato indicato come quello più adeguato per far sentire i richiedenti asilo e i rifugiati come parte di una comunità che accoglie e offre l’opportunità di una vita migliore, ma verso la quale vi sono anche doveri che vanno rispettati per non pregiudicare l’accoglienza. «Grazie a questa iniziativa mi sono resa conto di alcune differenze nel pensiero dei giovani europei - dice Anna Kompatscher, studentessa di Giurisprudenza e ideatrice del progetto Refugee Law Clinic, la “clinica legale" che si occupa di diritto dell'immigrazione a UniTS -, indotte anche dalla diversa posizione geografica del paese di provenienza. Nel caso italiano infatti non potremmo di certo chiudere le frontiere, come fa Orbán in Ungheria».

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