Studi settore: un dipendente su 2 sarebbe evasore

La «provocazione» della Cgia di Mestre: «Con quei metodi il 47% degli assunti evaderebbe il fisco»
 
MESTRE
La Cgia di Mestre ha applicato la metodologia degli studi di settore ad un campione di 100 dipendenti del settore metalmeccanico. Risultato? Il 47% di questi lavoratori non è congruo e dovrebbe rivedere al rialzo la retribuzione lorda reale per un importo medio annuo di 1430 euro. In teoria, quindi, quasi la metà dei dipendenti sarebbe un potenziale evasore. «Chiaro che questa elaborazione è una vera e propria provocazione – commenta il segretario dell’Associazione artigiani e piccole imprese Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi – ma sta a dimostrare che gli studi di settore sono strumenti statistici con molti limiti».


Se ad un campione di 100 lavoratori dipendenti del settore metalmeccanico applichiamo la metodologia di calcolo che viene realizzata per costruire gli studi di settore che insistono sugli autonomi, il 47% di questi operai non risulterebbe congruo. Ovvero, la retribuzione lorda reale di questi lavoratori dovrebbe essere rivista all’insù. La Cgia di Mestre ha realizzato un’elaborazione utilizzando le stesse tecniche statistiche con le quali si realizzano gli studi di settore che poi vengono applicati ai lavoratori autonomi. In buona sostanza cosa si è fatto ? Innanzitutto, è stato monitorato quanto questi lavoratori guadagnano sommando lo stipendio base con gli straordinari, il superminimo, gli scatti di anzianità, ecc. Con questi numeri in mano è stato messo a punto un processo di «regressione lineare», cioè un modello statistico-matematico che viene impiegato per disegnare i parametri degli studi di settore per i lavoratori autonomi.


Alla fine è emerso uno stipendio medio lordo teorico. Con il risultato che chi se ne discosta è un virtuale evasore. O per lo meno, lo sarebbe se fosse considerato come un lavoratore autonomo. Risultato? Il 47% di questi dipendenti non risulta congruo, ovvero presenta importi della retribuzione lorda teorica inferiore a quella reale, e per adeguarsi dovrebbe rivedere all’insù quest’ultima per un importo medio annuo pari a 1430 euro. Ogni elaborazione statistica offre una rappresentazione della realtà, ma non fotografa in maniera puntuale lo stato di fatto». «Pertanto – conclude Bortolussi - così come accade per gli autonomi dopo l’introduzione degli indici di normalità, è ingiusto pretendere che sia la realtà a piegarsi a quanto pretendono gli studi di settore. Imponendo addirittura al contribuente dì farsi carico dell’onere della prova». Lo studio ha una grande importanza di carattere politico perché dimostra tutti i limiti, le incongurenze e anche le assurdità degli studi di settore.


Con i quali i lavoratori autonomi sono alla mercé delle statistiche senza poter tenere conto delle variabili continue che ci sono in economia. Lo studio ha voluto evidenziare che in teoria anche i lavoratori dipendenti potrebbero essere dei potenziali evasori. Non è però una provocazione ma uno stimolo a rivedere certi parametri e certi studi che penalizzerebbero oltremisura chi ha scelto la strada del lavoro autonomo.

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