Sul fronte dell’Isonzo c’era anche un ufficiale che parlava coi fantasmi

Le storie della letteratura non ne parlano e sul suo conto anche i migliori dizionari biografici riportano informazioni errate. Eppure la sua raccolta di novelle “Uomini in guerra”, pubblicata in Svizzera già nel 1917, quando la grande carneficina era ancora in corso, e presto tradotta in quattordici lingue, resta uno dei maggiori documenti del primo conflitto mondiale e merita oggi di essere rivalutata anche per le sue qualità letterarie, figurando a pieno titolo tra quei classici che s'impongono al di là della retorica del centenario. È dunque da salutare con favore la nuova edizione italiana che di quest'opera di Andreas Latzko - nato nel 1876 a Budapest, morto nel 1944 ad Amsterdam (e non a New York "in povertà", come erroneamente affermato in quarta di copertina) - propone la Keller di Rovereto all'interno del meritorio progetto "confini", dedicato appunto alla Prima guerra mondiale (pagg. 158, euro 14,50). E sarebbe stato in questo caso auspicabile accompagnare i racconti, tradotti da Melissa Maggioni, con un'introduzione, come accade nella recente e bella edizione tedesca a cura di Hans Weichselbaum, pubblicata a Vienna dal Milena Verlag. Perché è forse giunto il momento di sottrarre l'autore all'oblio in cui lo ha torto confinato il tempo, e di mostrarne i legami con la grande cultura europea.

Figlio di una viennese e di un banchiere magiaro, entrambi di origine ebraica ma convertiti al cattolicesimo, Adolf Andor Latzko, dopo aver interrotto gli studi in chimica e filosofia a Budapest, si trasferisce nel 1901 a Berlino. Qui insieme al nome muta l'ungherese, lingua dei suoi esordi letterari, con il tedesco, che gli assicura un certo credito come autore di teatro e giornalista. Nel primo decennio del secolo intraprende numerosi viaggi in Egitto, India, Sri Lanka e Giava. Allo scoppio della guerra è richiamato alle armi come ufficiale della riserva e con l'ingresso dell'Italia nel conflitto destinato al fronte sull'Isonzo. Nel corso di un attacco dell'artiglieria italiana nei pressi di Gorizia è testimone di come una granata dilani due buoi e tre soldati. Questo episodio, più tardi raccontato a Romain Rollande, provoca in lui un trauma psichico che lo segna profondamente: per sei mesi trema per tutto il corpo, spesso rifiutando di assumere cibo. Dopo un lungo periodo di cure in varie cliniche della monarchia ottiene il permesso di recarsi in convalescenza in Svizzera, dove ha modo di seguire e di partecipare al dibattito avviato dai circoli pacifisti, collaborando alla rivista espressionista "Die Weißen Blätter" di René Schikele su cui uscirà uno dei racconti di “Uomini in guerra”. La pubblicazione, dapprima anonima, di questo libro, censurato in Austria e Germania, sarà menzionata da Karl Kraus come un avvenimento destinato a rendere il suo autore indimenticabile. Nel suo diario Arthur Schnitzler riconoscerà per primo la qualità letteraria di una scrittura in grado di rendere efficacemente gli orrori della guerra. Di altro avviso sarà l'esercito austro-ungarico, che nel 1918 lo radierà dai suoi ranghi, considerandolo un disertore. Al termine del conflitto Latzko entra in contatto con Gustav Landauer e simpatizza inizialmente con la fallimentare esperienza della Repubblica bavarese dei Consigli. Nel dopoguerra trascorre un anno ad Alassio, in Liguria, prima di trasferirsi a Salisburgo, città in cui ha modo di dialogare con altri intellettuali di tendenza pacifista come Stefan Zweig. Con il deteriorarsi del clima politico e la crisi economica nel 1931 va ad Amsterdam, dove resta fino alla morte, senza che la sua identità sia mai scoperta dalle autorità naziste che avevano occupato la città nel 1940. Oltre ad altri racconti che riprendono la tematica della guerra, la sua opera narrativa comprende un thriller ambientato nella Berlino degli anni Venti e una biografia romanzata di Lafayette.
“Uomini in guerra” comprende sei novelle, tutte riferibili al fronte dell'Isonzo. Vi appaiono ospedali militari, trincee, la cittadina (Postumia) in cui staziona lo Stato Maggiore dell'esercito, un villaggio ungherese in cui fa ritorno un soldato. I protagonisti sono soldati e ufficiali, che per lo più portano impressa sul loro corpo la violenza della guerra. Emblematico è il destino del cocchiere Johann Bogdán, che torna dal fronte completamente sfigurato. Insieme al suo aspetto avvenente, la guerra gli ha anche sottratto la sua identità sociale. Ma in tutti il conflitto è presente come ferita indelebile. Nel racconto Morte da eroe un'esplosione tronca la testa a un cadetto, sul cui collo va a posarsi intatto il disco di una popolare marcia militare ungherese, suonata qualche attimo prima da un grammofono. Al tenente in agonia che ha assistito all'episodio la segreta realtà della guerra si svela in un delirio come una mostruosa sostituzione di teste pensanti: «era chiaro… tanto, tanto tempo fa, da qualche parte, gliele avevano svitate e sostituite con dischi che non sapevano fare altro se non suonare la Marcia Rákóczi. Tutta la zona dell'Isonzo si trovava improvvisamente sotto di lui, come una carta topografica immensa, così come l'aveva vista spessa sui giornali illustrati. Il nastro argenteo del fiume serpeggiava attraverso monti e colline e il tenente Kadar volava oltre il brulichio senza motore e senza aeroplano, portato soltanto dalle sue braccia dispiegate. E ovunque cadeva il suo sguardo, su ogni collina, ogni montagna, in ogni avvallamento, vedeva i megafoni di innumerevoli apparecchi vocali incassati nella terra».
Non è questo l'unico passo in cui Latzko rappresenta la guerra con immagini che lasciano pensare alla intensa visionarietà di un George Grosz. Rispetto al più tardo realismo di un Remarque, lo scrittore si mostra più interessato a rendere lo sconquasso psichico che il conflitto produce negli uomini. Tutto scritto nella prospettiva di un capitano che esita a condurre alla morte la sua compagnia di riservisti è il racconto “Il battesimo del fuoco”, mentre nel “Camerata” un ufficiale annota nel diario la costante presenza di un morto che lo accompagna e rivendica questa sua patologia contro la vera pazzia di chi ha voluto la strage di milioni di uomini.
Sebbene non privi di qualche caduta di stile, i racconti di Latzko dimostrano una ragguardevole padronanza formale e una notevole gamma di registri. Così nel “Vincitore” il ritratto, appena dissimulato, del generale dell'armata dell'Isonzo Svetozar Boroevi„ von Bojna è tenuto sul filo di un lieve e riuscito sarcasmo, che rende tanto più tragico il cinismo del potere militare. Ma al di là della loro compiutezza, non c'è dubbio che i racconti di “Uomini in guerra”, come ricordava ancora Karl Kraus, costituiscano «un grido di fronte al quale le obiezioni estetiche ammutoliscono»: un'altissima lezione morale che nulla ha perso del proprio valore.
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